martedì 13 luglio 2010

Impiegati da romanzo


"Nel giro di pochi mesi, una serie di saggi, romanzi, racconti, reportage hanno condotto l'attenzione su una figura della società contemporanea tanto potentemente centrale quanto ostinatamente opaca: l'impiegato. Come se non bastasse, decine di blog insistono sullo stesso tema. Basta ricordare Vita d'Azienda, Vita d'Ufficio, Vita da Impiegati, Hobby da Impiegati o Impiegati si nasce, tutti siti che trovano il loro coronamento ideale nel libro fotografico (prolungamento iconico di una celebre mostra di qualche anno fa) di Jan Banning, Burocrati. Uno sguardo negli uffici di tutto il mondo. Non sempre i risultati della sua inchiesta colpiscono nel segno, sebbene alcuni scatti sull'amministrazione statale del Mozambico restino memorabili. Ma parlavamo dell'editoria. Ebbene l'anno scorso, in rapida successione, sono usciti due classici dell'argomento: il romanzo di Hans Fallada E adesso, pover'uomo? (Sellerio), e il racconto di Herman Melville Bartleby (Portaparole). Nel primo testo, datato 1932, lo scrittore tedesco descrive il fenomeno della proletarizzazione dei ceti medi, mentre nel secondo, apparso nel 1853, il narratore americano eleva l'immagine dello scrivano a emblema di una resistenza e di una renitenza metafisica nei confronti del mondo. E' soprattutto quest'ultimo capolavoroa rappresentare un punto di riferimento inevitabile per chiunque voglia entrare nella materia. Lo dimostra il recente romanzo di Philippe Delerme La parte migliore del giorno (Frassinelli), che ricorda sia il testo di Melville, sia l'elegante omaggio dedicatogli dallo spagnolo Enrique Vila-Matas con Bartleby e compagnia (Feltrinelli lo pubblicò nel 2002). Piccolo impiegato dalla vita tranquilla e metodica, l'eroe di Delerme conoscerà un'improvvisa celebrità proprio con l'apertura di un suo blog intitolato, neanche a dirlo, "www.antiazione.com". Assai più brillante di questa esile trama, risulta comunque il divertimento di Georges Perec edito da Einaudi: L'arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento. Addirittura squisito, è poi un piccolo classico dimenticato, Le domeniche di Jean Dézert (Excelsior 1881), che l'autore francese Jean de la Ville pubblicò nel 1914, poche settimane prima di essere ucciso al fronte. Impiegato presso la Direzione Logistica del Ministero per l'Incoraggiamento del Bene, il suo personaggio riempie il vuoto dei giorni festivi seguendo i consigli dei dépliant ricevuti per strada. Insomma, siamo di fronte all'ennesimo campione di una casta che oggi si vede ormai sempre più minacciata dall'incombente flessibilità (si pensi a Mi spezzo ma non m'impiego, il viaggio-inchiesta di Andrea Bajani nell'universo dei nuovi lavoratori precari uscito da Einaudi nel 2006). A questo punto, però, il panorama comincia a diventare un po' troppo affollato. Per orientarsi in una simile congerie di opere, niente di meglio che l'agile volumetto di Luciano Vandelli, apparso nel 2000 e ora riproposto da Clueb: Il pubblico impiegato nella rappresentazione letteraria. Il libro ricostruisce dettagliatamente la grande famiglia degli scrittori impiegati. Che ne sarebbe stato di Maupassant, se non avesse esercitato le funzioni di soprannumerario presso il ministero della Marina mercantile? O di Gogol', senza l'esperienza di impiegato nel dipartimento dell'Economia statale e in quello dei Beni patrimoniali? Di Kafka, funzionario dell'Istituto delle assicurazioni? O di Heinrich Böll, impiegato dell'Ufficio statistico comunale? Di Melville, ispettore delle dogane, oppure di Nathaniel Hawthorne, che lo aveva preceduto nel medesimo incarico? Un caso a sé è costituito dalle note di qualifica. Le peggiori vanno senz'altro a Charles Bukowski, mentre su Maupassant è rimasto famoso il giudizio del suo direttore: «Coscienzioso, ma non sa scrivere». Davanti agli occhi del lettore si spalanca un vero e proprio continente di reperti, dominato, è davvero il caso di dirlo, dai dioscuri della banalità, ovvero gli omonimi protagonisti del romanzo di Flaubert Bouvard e Pécuchet. Prima e dopo di loro, il paesaggio metropolitano pullula di figure analoghe, e forse non è un caso che sia Balzac, sia Maupassant scegliessero per due loro testi un identico titolo: Gli impiegati - lo stesso, sia detto per inciso, di un saggio che Sigfried Kracauer pubblicò nel 1930 coniando il termine, poi divenuto celebre, di "colletti bianchi". Sempre a Kracauer, peraltro, si deve l'idea che gli impiegati siano dei "senza tetto", incapaci di riconoscersi tanto in quella coscienza di classe che rende coesi e solidali gli operai, quanto nei sentimenti e nello stile della borghesia. Tale condizione lascerebbe un grande vuoto nella loro anima, nonché un senso di profonda impotenza verso una realtà avvertita come indecifrabile. Che non si celi proprio qui l'enigma, l'inquietudine e il fascino di questa professione? Ma il saggio di Vandelli, riserva altre sorprese. Volgendoci alla fantascienza, fra le tante antiutopie scopriamo che l'Asimov di Prima fondazione immaginò addirittura un pianeta interamente coperto da un'unica città, popolata da 40 miliardi di abitanti. Tutti burocrati. Difficile immaginare uno scenario più estremo. Altro che precariato: per Asimov l'impiegato ha finito per divorare l'intera società, fino a creare un mondo a sua immagine e somiglianza." (da Valerio Magrelli, Impiegati da romanzo, "La Repubblica", 13/07/'10)

1 commento:

Anonimo ha detto...

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