martedì 13 luglio 2010

Scrittori giocatori


"Denso, colto, articolato, organico: così si presenta il libro Scrittori giocatori (Einaudi) del grande enigmista Stefano Bartezzaghi.
Denso, perché l'incrocio tra la competenza interpretativa dei testi letterari di Bartezzaghi e la precisione millimetrica della sua misura analitica compone, anzi scompone e ricompone, le figure di un gruppo di autori come se fossero varianti di un medesimo Autore sotterraneo (o celeste?). Un tale Autore, che di volta in volta indossa le poetiche e le peculiarità di Dante o di Proust o di Arbasino o di Nabokov, risulta altissimamente complesso, sebbene individuato secondo l'eletta prospettiva del suo rapporto con il gioco.
Appare del tutto plausibile che questo Autore percepisca contemporaneamente attrazione e pudica resistenza nei confronti del gioco (quando indossa i panni di Levi, per esempio), profonda conoscenza dei suoi meccanismi (Dante), promessa di libertà (Cage), ispirazione narrativa (Calvino) e così via. Il gioco infatti in questo libro è soprattutto il gioco che si può fare con il linguaggio, sia come nostro strumento sia come nostro complice, tanto nei panni del complice quanto in quelli dell’avversario.
Qui Bartezzaghi generosamente mette a sua volta in gioco le proprie conoscenze enciclopediche per avvicinarsi e cogliere un punto delicatissimo, per ciò che riguarda il linguaggio, e cioè il plesso in cui si toccano la possibilità di generare un senso, quella di generare sovrasensi non referenziali e persino quella di non generare alcun senso, di cancellarlo addirittura.
Alcune di queste possibilità pertengono al linguaggio poetico, come la rima, altre all’enigmistica (per dirla grossolanamente), come l’acrostico. Ma tutte segnano nel profondo l’anima di questo ultra-Autore.
In ciò il libro oltre a essere molto colto risulta assai articolato, tanto che declinazioni apparentemente opposte nell’atteggiamento relativo del gioco, come nella modalità Levi e in quella Cage, risultano comporsi in una linea di polarità e non di contraddizione.
Il punto è che lo spettro che va dall’assenza di senso alla compresenza di molteplici sensi, e che attraversa non solo le poetiche degli autori ma anche le fasi diverse della vita di noi individui (dall’infanzia alla saggezza, potremmo dire), è il vero argomento di questo saggio. Che risulta perciò molto organico, nel comporre insieme saggi di distinta origine.
Con Bartezzaghi questo capita sempre, come se in lui fosse chiarissimo un punto preciso e indiviso da raggiungere con le parole, proprie e altrui, anche se la marcia di avvicinamento impone di attraversare una pluralità di oggetti impressionante.
Il libro non è riassumibile, e nemmeno etichettabile come saggio letterario piuttosto che banco di prova della cultura enigmistico-linguistica. Tra le due figure del detto e del non-detto, che animano l’atteggiamento dell’ermeneuta, ancora una volta Bartezzaghi riesce a insinuare una terza figura, potremmo chiamarla del «come dirlo e come non dirlo», dentro cui le energie del gioco sembrano essere all’apice della potenza. Incredibile, poi, come l’autore riesca, dopo averli frullati nell’ultra-Autore, a restituirci i singoli autori come rivitalizzati.
Questo risultato è prezioso perché ci riconcilia con il mondo delle cose e dei fatti, al quale gli autori e le loro pagine pur sempre e per sempre appartengono. Infatti le incursioni nel codice genetico del linguaggio spesso provocano nel lettore uno stato di smarrimento, di patimento dovuto alla progressiva rarefazione dell’aria, salendo di sovrasenso in sovrasenso, di armonico in armonico, dove ci si allontana dalle cose, da suono di base, dal significato bruto.
Un panico di sovraffaticamento cerebrale e di perdita del corpo può ingenerarsi. Invece questo timore a poco a poco rientra e un senso della realtà riemerge dietro i giochi di e con le parole. Si prenda come esempio di questo tratto generale dei libri di Bartezzaghi il capitolo qui dedicato a Primo Levi.
In Levi la presenza etica del testimone è identica a quella del manutentore del proprio strumento di lavoro (il linguaggio).
La stessa identica. Con Levi posto ad esempio, possiamo andare alla ricerca della stessa sintesi anche negli altri. Siano essi Calvino, Dossena, Capote, Foster Wallace. Che sia, questo, il principio di individuazione di ciò che chiamiamo «autore»?" (da Dario Voltolini, Il gioco del mondo fra Dante e Calvino, "TuttoLibri", "La Stampa", 10/07/'10)

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