mercoledì 25 giugno 2008

Morte a 3 euro di Paolo Berizzi


"Per trovare gli schiavi moderni, i caporali del lavoro, le morti che sono 'bianche' solo nel freddo linguaggio dei giornali non serve andare chissà dove. Basta restare nella ricca Lombardia. A Milano per esempio, alzarsi di prima mattina e fare un salto in Piazzale Loreto, tra le luci delle maxi pubblicità e i grandi magazzini; affacciarsi nella vicina stazione di Lambrate, prima che i pendolari la prendano d’assalto. Oppure alzare gli occhi verso i ponteggi di uno dei tanti cantieri un tempo regno indiscusso dei magut bergamaschi, oggi terra di nessuno dove per un niente si lavora e per un niente si muore. E’ un viaggio a portata di mano, quello percorso da Paolo Berizzi nel suo Morte a 3 euro. Nuovi schiavi nell’Italia del lavoro (Baldini Castoldi Dalai). Non per questo meno sorprendente. Le testimonianze del libro si soffermano là dove la statistica si arrende, lasciando il posto ai ricatti tra caporali e lavoratori, all’arruolamento in nero, al porto franco delle regole. Ed è pure il racconto della faccia oscura del fenomeno immigrazione, vissuto dall’altra parte del vetro. Quello dei finestrini dei pulmini che portano dalla Moldavia le badanti a buon mercato e la manodopera per i cantieri che dovrà sopportare di tutto, e attaccarsi ai quei tre euro all’ora che danno il titolo al libro. Tre euro che sono le briciole, quanto rimane alla fine della catena di spartizione tra caporali e impresari sprovvisti del minimo senso della dignità umana. E che in molti casi, paradossalmente, rischiano nulla o giù di lì, camminando sul filo dell’interpretazione di leggi e regolamenti che incasellano i disperati arruolati per un tozzo di pane alla voce 'manodopera distaccata'. Eufemismi che fanno impressione, se collocati sullo sfondo di quei 15 mila morti che negli ultimi 10 anni in Italia hanno tinto di nero la parola lavoro. Un numero che
però non conta le morti invisibili, quelle di cui viene cancellata, o si tenta di farlo, ogni traccia. Il libro cerca quelle tracce. Si muore perché, banalmente, gli estintori erano scarichi, come alla torinese Thyssen. Si muore perché ogni elementare regola di sicurezza è lasciata solo sui manuali chiusi nei cassetti. Si
muore nel cuore della 'City' milanese, a due passi da Piazza Affari, solo perché a un certo punto, quando si è a 12 metri d’altezza, bisogna fare pipì. Berizzi, giornalista di "Repubblica", raccoglie le vite degli 'ultimi degli ultimi', egli stesso ne veste i panni e racconta. Della cocaina che diventa benzina per cottimisti, delle mani della ‘ndrangheta sul mercato dell’Ortofrutta a Milano, delle massacranti campagne siciliane, dove le donne vengono prima sfruttate nei campi, poi rese schiave del sesso; delle mele del Trentino. E delle morti che alla fine si assomigliano tutte e tutte potevano essere evitate. Tentando di indulgere il meno possibile nella retorica del giorno dopo." (da Francesco Spini, La morte corre sui ponteggi, "TuttoLibri", "La Stampa", 21/06/'08)

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