giovedì 5 giugno 2008

"In Rilke trovo ogni risposta"


"Lo abbiamo conosciuto trentenne con il libro d'esordio, Diario di un millennio che fugge, un bel titolo per un romanzo che fu una rivelazione. Poi, per Marco Lodoli, sono venuti altri titoli di romanzi, di racconti, di trilogie: I principianti, Il vento, Cani e lupi, I pretendenti, I fiori, La notte, I professori e altri professori, Bolle. Adesso questo romanzo breve o racconto lungo che s'intitola Sorella e che è stato appena mandato in libreria da Einaudi. Ma i temi di fondo restano quelli: la vita, il tempo, l'amore, la ricerca di senso, il filo di una tenerezza misericordiosa che entra nel gran circo delle sorprese, nella gran trama delle illusioni, trasformandole in destino. È un caso che prima di tutto sia venuta la poesia? 'Ho scritto e pubblicato tre libri di poesia in tempi diversi. Del primo libro, Un uomo innocuo, pubblicato da Trevi nel '76 quando avevo vent'anni, fu mio padre a pagarmi l'edizione. Gli altri due sono apparsi dopo: Ponte Milvio nell'88 e Zoe, un canzoniere per la vita di un cane, nel 2001. Ricordo quando cominciai. Mi sentivo estraneo al clima ideologico di quegli anni e andavo in cerca del mio equilibrio. Frequentavo Claudio Damiani, ad esempio, o un poeta poi morto suicida, Beppe Salvia, che facevano una rivista francescana come "Braci". Frequentavo Gabriella Sica, che faceva la rivista "Prato pagano". Li seguivo nella ricerca di una lingua che tutto può dire, sapiente, precisa, sonora e ad un tempo alonata e vaga. Da un lato esattezza, intesa anche come endecasillabi, rime, sonetti, e dall'altro indeterminatezza. L'idea di una forma, insomma, che andasse oltre l'usura dello sperimentalismo neoavanguardistico'. I poeti più suoi? 'Per un verso sicuramente Saba, ma anche i crepuscolari, come Gozzano o Corazzini, anche l'Ariosto delle Satire, per via del rapporto con il quotidiano. Peraltro verso il magico e il surreale in poeti come Soupault, Desnos, Éluard, Breton. Le due diverse parti di una mela: attenzione alla quotidianità e volontà di dire di più. Il grande incontro è stato Rilke, Elegie duinesi, forse anche perché conoscevo bene i luoghi, mia madre è austriaca e mia nonna abitava a Monfalcone. Rilke è un autore folgorante, una vertigine. Un poeta non traducibile in informazione pratica. Un poeta che contiene tutte le risposte anche se non sapresti ripeterne neanche una. Una verticalità commovente che non si dimentica della terra. Forse perché avviato da mio padre che aveva fatto la guerra di Spagna, anche gli spagnoli hanno contato: Lorca, Machado, Guillen, con cui c'è anche una parentela. Di lui conservo da qualche parte una lettera in cui loda il mio primo libro e m'incoraggia a continuare'. Tra i coetanei? 'Di sicuro Milo De Angelis. Per noi che stavamo uscendo dalla dimensione sperimentalistica, la comparsa della rivista "Niebo" e il libro di Milo, Somiglianze, furono un avvenimento. È difficile oggi immaginare che possa esistere un libro di fascinazione così forte. In tempi di slogan, un libro che rimetteva in circolazione lo smarrimento metafisico della giovinezza'. Lei è anche autore con Emanuele Trevi di un'antologia per le scuole che s'intitola Storie della vita e che ha per sottotitolo L'antologia come un romanzo, dove si spazia dalla letteratura antica a quella contemporanea. 'Sì, volevamo uscire dai residui strutturalisti che ancora notavamo nelle antologie esistenti, puntando soprattutto ad accorpare una serie di tematiche legate all'adolescenza: amicizia, amore, viaggio, eccetera. Nessuna separazione di genere, poesia, romanzo, teatro, ogni pagina a ruotare intorno a un tema, perché a un ragazzo tutto parla in modo diverso. Nel momento in cui l'idea merceologica del target è entrata anche nella letteratura, abbiamo tentato di far capire che l'esperienza letteraria è sempre metaforica'. Ma i suoi ragazzi leggono? 'Io non insegno in un liceo. Insegno in una scuola di borgata, a Torre Maura, dove la Casilina tocca il raccordo anulare. E lì i ragazzi fanno fatica. Se leggono, leggono Moccia. Anche se poi su di loro hanno presa opere impensabili, testi teatrali come Edipo, Medea, Romeo e Giulietta. La tragedia greca e Shakespeare. I ragazzi hanno soprattutto bisogno di sentirsi partecipi del testo'. Un titolo tra gli ultimi che lei abbia proposto? 'Hanno letto volentieri La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Se penso agli scrittori che hanno costituito dei passaggi fondamentali per la nostra adolescenza, Salinger non li interessa granché e comunque più Franny e Zoe che Il giovane Holden. Non parliamo poi di un libro come Il grande Meaulnes di Alain-Fournier, che fu la rivelazione della mia adolescenza. Ogni tanto provo con misura a proporre Meno di zero di Bret Easton Ellis. Analogo discorso per i film, che entrano nel loro orizzonte d'interesse quando parlano di problemi che li toccano: Sweet Sixteen di Ken Loach, Donnie Darko, il film d'esordio di Richard Kelly, che è diventato un cult, La promessa dell'assassino di Cronenberg, ma anche Caterina va in città di Virzì'. A proposito di film, lei regolarmente recensisce film su "Diario". Una vocazione precoce? 'Direi di no. Fino a una certa età non sono stato un grande frequentatore di sale cinematografiche. Ma ho recuperato negli Anni Settanta. Negli stessi anni in cui trovavo Somiglianze di De Angelis, incontravo Wim Wenders, Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo. La solitudine dell'individuo davanti all'Universo. Come recensore non importa se di cinema o di letteratura, cerco di non fare recensioni tiepide, di non fare la lezioncina, ma di essere coinvolto in ciò che dico. Credo di essere stato il primo a recensire Il cacciatore di aquiloni di Hosseini, La solitudine dei numeri primi di Giordano, Tutt'al più muoio di Albinati e Timi'.
Lei ha scritto anche per il teatro. Uno dei suoi libri, Grande circo invalido, ha avuto un adattamento teatrale. 'Sì, ho conosciuto e frequentato Elena Stancanelli e Emma Dante che facevano teatro. Ho seguito alcuni gruppi di
ricerca come la Valdoca di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi, La Gaia Scienza di Corsetti, Vanzi e Solari, il Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci. Un teatro di ricerca che conservava dentro di sé un sentimento. Non un teatro dentro i linguaggi, ma un teatro aperto alla vita, capace di mettere in scena lo sgomento dell'esistenza. Come m'è capitato di scoprire, con Beckett, uno di quelli che con uno stuzzicadenti riescono a farci un mondo'." (da Giovanni Tesio, In Rilke trovo ogni risposta, "TuttoLibri", "La Stampa", 31/057'08)

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