mercoledì 11 giugno 2008

Le metamorfosi di Israele di Vittorio Dan Segre


"Come si definisce la legittimità di uno Stato? Di solito è una questione quasi astratta. Superata dal principio dell'autodeterminazione nazionale. Se dotato di un presente, di una storia e di una coscienza nazionale, uno Stato esiste e il suo diritto all'esistenza non viene dibattuto né esige conferme. Quante volte ci si sente in dovere di dichiarare che l'Italia, lo Sri Lanka, la Lituania, il Botswana hanno il diritto di esistere? Per Israele la questione è ben diversa. 'Lo Stato d'Israele è il risultato del sionismo, non dell'Olocausto', scrive Vittorio Dan Segre nella nuova edizione aggiornata di un libro indispensabile: Le metamorfosi di Israele. Il sionismo, dal canto suo, è un movimento di rinascita nazionale che ha un costrutto storico e uno politico. La sua vicenda 'politica' prende le mosse dall'ultimo scorcio dell'Ottocento. Quella storica si declina in un'aspirazione nazionale che, per quasi duemila anni di Diaspora, ha alimentato la letteratura, il pensiero e la vita degli ebrei. L'idea del ritorno alla propria terra guida lo spirito d'Israele non meno dell'adattamento alle condizioni diasporiche. Radicata nei quasi infiniti luoghi dell'esilio, la storia ebraica si è sempre fatta anche attraverso il senso d'appartenenza a quella terra. In parole povere, il sionismo è intrinseco all'anima ebraica. In quella che gli ebrei chiamano da sempre Eretz Israel e che fino alla fine della Prima Guerra Mondiale era stata una provincia dell'Impero ottomano tradizionalmente nota come Palestina, aveva vissuto da sempre una piccola comunità di ebrei - divisa sostanzialmente fra Gerusalemme e Safed. Poi, con i primi passi del sionismo politico per un verso e le ventate di pogrom per l'altro, dalla seconda metà dell'Ottocento questa regione comincia a popolarsi di ebrei. Che vi costruiscono a poco a poco strutture economiche, sistema scolastico, ospedali, organismi rappresentativi, rete di trasporti - tutto ciò che in sostanza definisce, regola una società. Questa società si chiamava yishuv. Benny Morris, in Due popoli una terra. Quale soluzione per Israele e Palestina? (Rizzoli) aiuta il lettore ad avvicinare quel mondo. Poi arriva il mandato britannico in Palestina. In Europa ci sono il nazismo e il fascismo. La Shoah. Nel novembre del 1947 una risoluzione Onu sancisce in Medioriente la nascita di due Stati 'palestinesi': uno ebraico e l'altro arabo. Da allora, e per ragioni terribilmente imperscrutabili, se gli ebrei celebrano quella stagione come festa d'Indipendenza, per gli arabi palestinesi tutto ciò è la nabka. Una 'catastrofe' alla cui radice sta l'autoderminazione che i palestinesi espressero con il rifiuto. Questo rifiuto si ripeté nel 2000, quando andarono in fumo gli accordi di Oslo. Alla radice del rifiuto arabo - e certo in un contesto di grande, inafferrabile complessità - c'è l'idea che l'autodeterminazione politica di Israele sia fittizia. Una sorta di eccezione a un principio comunemente assodato e valido per ogni altro popolo. Per quanto possa sembrare paradossale, la storia avrebbe soltanto da fare un passo indietro. E prima o poi lo farà: due Stati per due popoli vicini ma diversi - seppure ormai carichi di una reciproca somiglianza che ancora fomenta gli odi, ma che un giorno li aiuterà. Proprio come sanciva la risoluzione Onu del 29 novembre 1947." (da Elena Loewenthal, Il sionismo fonda Israele, "TuttoLibri", "La Stampa", 07/06/'08)

Nessun commento: