sabato 18 dicembre 2010

W. G. Sebald, Gli anelli di Saturno


"W. G. Sebald amava vagabondare, nella scrittura e nella vita. Lo spingeva la curiosità che nei suoi libri diventa non solo erudizione, ma anatomia del passato, strumento della memoria, che per lui, tedesco nato nel 1944, significava metabolizzare la tragica esperienza della generazione precedente alla ricerca di un’identità affrancata dalle colpe dei padri. Forse anche per questo se ne andò in Inghilterra come lettore e poi docente di letteratura.
E forse per lo stesso motivo non c'è opera di questo anomalo intellettuale, morto in un incidente stradale nel 2001, che non sia cronaca, diretta o indiretta, di sventure, amara riflessione sull’edificio del mondo investito da fitte ombre, come dice il medico e scrittore secentesco Thomas Browne, che Sebald cita a più riprese nel suo libro del 1995, Gli anelli di Saturno, già pubblicato anni fa da Bompiani e che ora Adelphi ripropone nella nuova e raffinata traduzione di Ada Vigliani.
Come un viandante romantico Sebald decide un’estate di andare in giro, per lo più a piedi, per il Suffolk, una regione in cui egli visse a lungo, framare e colline, attraversando piccoli centri, un tempo magari famosi e ora in completa decadenza.
Questo suo «pellegrinaggio in Inghilterra», come suona il sottotitolo del libro nato da tale esperienza, è in realtà un viaggio nel tempo, un turismo balzano fra ruderi, macerie, vecchi reperti, dimore abbandonate come la residenza di Somerleyton in cui molte epoche hanno lasciato il segno.
Con la lente dell’entomologo egli scopre tracce quasi invisibili e trasforma il proprio itinerario in una trama storica i cui fili si intrecciano in mille divagazioni: la pesca dell’aringa e le battaglie navali fra inglesi e olandesi, la figura di Conrad e il colonialismo belga, la sericoltura, vero leitmotiv del libro, e l'amore del visconte di Chateaubriand, esule in Inghilterra, per la figlia del reverendo Ives, la biblioteca fantastica di Thomas Browne e l’immagine
umbratile del poeta Swinburne dalla testa enorme su un corpo gracile e minuto.
Forse aveva ragione Goethe quando diceva che i viaggi più affascinanti sono quelli che si fanno col pensiero. Attraversando la regione del Suffolk in compagnia del dotto Sebald è come se il lettore si inoltrasse in una biblioteca seguendo i giochi della mente e dell’immaginazione, in una landa popolata di fantasmi letterari che lo trascinano in avventure infinite. Si può seguire Conrad fra le pianure gelide della Polonia o nel cuore del Congo su un battello fluviale oppure rivivere la battaglia di Waterloo o curiosare alla corte dell’imperatrice cinese Cixi pronta a sacrificare il proprio figlio pur di mantenere il potere.
Sebald è scrittore consumato capace di riscrivere pagine di storia con la verve e il gusto del cronista (come, a suo tempo, Stefan Zweig), ma anche un geniale osservatore della quotidianità sospinta su un orizzonte di senso più vasto.
Così un albergo del piccolo centro di Lowestoft, il punto più ad Est delle isole britanniche, sembra uscire da una pagina di Kafka, mentre strani pescatori che bivaccano in riva al mare, in silenzioso isolamento e forse in attesa del passaggio dimerluzzi, affiorano come figure quasi metafisiche in un «luogo dove hanno il mondo alle spalle e davanti a sé nient’altro che il vuoto».
Dietro ai molti flash si intravedono cesure drammatiche, squarci di violenza e barbarie come il ricordo di massacri fra croati e serbi, le atrocità del colonialismo o quelle del Celeste Impero. Così come nella decadenza dei luoghi
si nasconde la metafora di una storia che nell’ottica di Sebald è «fatta quasi soltanto di calamità».
La sua scrittura, qui come altrove, racchiude il destino degli sconfitti, la voce dei profughi come quella dell’amico Michael Hamburger, grande traduttore di Hölderlin, sfuggito bambino alla follia nazista che ha cancellato la sua infanzia. La geografia letteraria di Sebald sembra voler ricordare che la cultura è anche documento di barbarie, come diceva Benjamin. Anche se lui con la magia del suo linguaggio trasforma le rovine in frammenti di bellezza, in tenui ricami di speranza." (da Luigi Forte, L'occhio di Sebald in ogni rovina vede la bellezza, "TuttoLibri", "La Stampa", 18/12/'10)

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