lunedì 13 dicembre 2010

La bellezza salverà il mondo


"Chi ha incontrato per la prima volta il nome di Tzvetan Todorov in tempi lontani, come editore e traduttore de I formalisti russi, avrà certo seguito con stupore e ammirazione il suo lungo percorso intellettuale. Dallo strutturalismo letterario alla storia delle idee, alla storia dell´arte, alla storia tout court, per approdare infine a una incessante discussione su quei temi semplicemente "umani" o civili che oggi tanto ci riguardano: la violenza, i diritti, l´identità, il totalitarismo, e così via.
Da pochi giorni è apparsa in Italia la tua autobiografia intellettuale, Una vita da passatore (Sellerio). Leggendola mi sono ricordato che durante il colloquio in tuo onore che si è tenuto poche settimane fa a Parigi, Lionel Naccache, sottolineando l´importanza dell´eclettismo nelle scienze umane, ha affermato che anche tu saresti un "eclettico". Ti riconosci in questa affermazione?
«Senza dubbio le circostanze della mia vita sono in parte responsabili della pluralità dei miei interessi. All´età di 24 anni ho lasciato il mio paese, la Bulgaria, per venire in Francia, e questo ha già seriamente trasformato le mie abitudini. Cinque anni dopo sono entrato a far parte del Centre National de la Recherche Scientifique, un´istituzione estremamente liberale. In definitiva, però, sento che le scienze umane si rivolgono tutte quante a un medesimo oggetto, anche se le materie che studiano sono diverse. Un certo enciclopedismo, una pluralità di punti di vista rivolti a questo oggetto mi sembra dunque auspicabile. Nel nostro campo vale questa regola della conoscenza: occorre andare sempre al di là del nostro punto di vista soggettivo e cercare di assumere quello degli altri, in un continuo va-e-vieni».
In questo stesso momento Garzanti pubblica un altro dei tuoi libri, con un titolo davvero programmatico: La bellezza salverà il mondo (Wilde, Rilke, Cvetaeva). Che posto occupa quest´opera nel tuo lavoro?
«Devo dire subito che questa formula, "la bellezza salverà il mondo", tratta da L´idiota di Dostoevskij, può avere molti significati. Mi soffermo sulla vita e il pensiero di tre grandi scrittori europei, che si possono sommariamente collocare nel periodo romantico. Secondo gli ideali romantici, la creazione del bello è il valore supremo dell´esistenza, e si è giustificati se si sottomette ad essa tutto il resto. Ciò detto, però, le modalità secondo cui questo ideale si realizza, divergono: Wilde ha voluto fare della sua vita un´opera d´arte, Rilke era pronto a sacrificare la sua esistenza sull´altare della creazione poetica, la Cvetaeva ha stabilito una cesura radicale fra alto e basso, fra poesia e vita quotidiana. Ebbene, questi tre artisti, le cui opere sono ammirevoli, hanno avuto una vita che si può definire tragica, pur se con gradazioni diverse. Il mio racconto svela la fragilità di questa visione romantica del mondo, e interroga direttamente il modo in cui ciascuno di noi costruisce la propria vita».
Prendiamo un altro dei tuoi temi (e dei tuoi libri), la paura dei barbari. Il termine "barbaro" ha un potenziale semantico enorme. Chiamando "barbaro" qualcun altro, infatti, ci si identifica automaticamente con i (presunti) maestri di ogni civiltà, i Greci, che appunto definivano bárbaroi tutti coloro che Greci non erano; ma anche con i Romani, che impararono rapidamente dai Greci a definire barbari i non Romani, ovvero con Ebrei e Cristiani, che a loro volta definirono "barbari" i gentili ovvero i pagani.
«Fino dalle sue origini la parola "barbaro" possiede due accezioni diverse. Da una lato ha un senso relativo, reversibile: si chiamano barbari quelli che non sono come noi, che non parlano la nostra lingua o che la parlano male; dall´altro invece ha un senso assoluto, indipendente dal punto di vista di colui che parla: in tal caso si definisce barbaro colui che trasgredisce le regole della vita comune, che si comporta in modo particolarmente crudele, che non ha alcun rispetto per la vita degli altri. Confondere questi due sensi è sbagliato, ed è il secondo che conserva ancora tutta la sua pertinenza. Nel XX secolo abbiamo sperimentato atti di barbarie che non hanno più niente a che vedere col fatto di essere stranieri, di parlar male la lingua e così via: pensiamo, in particolare, ai regimi totalitari in Europa. Il barbaro è colui che non riconosce la piena umanità degli altri. Ma bisogna anche ricordarsi che nessun popolo, nessun individuo è "barbaro" una volta per tutte: lo sono solo i suoi atti e i suoi atteggiamenti».
Credo che un individuo abbia il diritto di scegliere la propria identità culturale, proprio come Voltaire sosteneva che ciascuno ha il diritto di scegliere la propria "patria". Purtroppo, però, molti oggi non la pensano così.
«Qualsiasi gruppo umano possiede una cultura, ossia un insieme di regole di comportamento e di rappresentazioni mentali. All´inizio riceviamo la nostra cultura senza averlo deciso: è quella dei nostri genitori. Crescendo però possiamo fare scelte volontarie, conoscere culture diverse da quella in cui siamo nati, oppure decidere di continuare a viverci. D´altra parte, la cultura di ogni gruppo umano si trasforma col tempo. Prova ne sia il fatto che, pur se abitiamo sempre nel medesimo luogo, non parliamo certo la stessa lingua dei nostri antenati! Tuttavia, giorno per giorno nessuno è cosciente di questi cambiamenti. È in questo senso che qualsiasi cultura viva è simile alla mitica nave Argo. Il suo viaggio era durato così a lungo che tutte le sue parti erano state cambiate, assi, funi, vele - eppure era sempre la stessa nave. Una cultura che non cambia è una cultura morta, e non c´è nulla di cui essere fieri».
Eppure in Italia si sostiene spesso che il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche perché simbolo della "nostra" identità culturale: dunque non solo quella di chi sceglie di sentirsi cristiano, ma quella di tutti gli italiani, indipendentemente dalle decisioni individuali.
«In democrazia lo Stato non si confonde con una cultura unica, accorda gli stessi diritti a tutti i cittadini, credenti o atei, cristiani, buddisti, ebrei o musulmani. Esigere oggi che tutti abbiano la stessa fede significherebbe rinunziare al carattere secolare dello Stato, confondere la sfera delle convinzioni personali con quella delle norme collettive, come facevano gli stati totalitari. L´unità della legge non ha lo scopo di imporre l´uniformità dei costumi, si può amare la propria chiesa senza dover chiedere nello stesso tempo di chiudere le moschee. È anche per questo che il crocifisso, nella scuola pubblica, non è al suo posto»". (da Maurizio Bettini, Tzvetan Todorov: 'È barbaro chi non riconosce l'essere umano', "La Repubblica", 13/12/'10)

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