sabato 18 dicembre 2010

Se Wikileaks sbarcasse a Teheran


"Novembre 2010. Al primo piano di un piccolo caffè di Teheran vicino a piazza dell' imam Khomeini chiacchiero con una ragazza velata che guarda Telephone, il video trash di Lady Gaga. Per molti il web è simbolo di massificazione della cultura e - dato che siamo in tempi di globalizzazione - di americanizzazione. Ne ho una dimostrazione vivente sotto i miei occhi.
Dicembre 2010. Mentre mi trovo a Berlino scopro allibito, insieme al resto del mondo, il contenuto criptato dei telegrammi diplomatici del dipartimento di Stato Usa: WikiLeaks, o la pirateria informatica su scala industriale. È il mondo a rovescio. Avrei preferito che WikiLeaks uscisse fuori in Iran (o in Cina), e che Lady Gaga restasse in America. Apparentemente, quindi, queste due pratiche della Rete sono contraddittorie. Per molto tempo si è detto che il web avrebbe favorito l' avvento di un intrattenimento unico e dominante, che internet sarebbe stata il simbolo della standardizzazione. Ma si è detto anche, inversamente, che internet sarebbe stata il santuario delle controculture e delle sottoculture, che le nicchie e le loro Long Tail avrebbero prosperato. In realtà, queste due visioni coesistono una a fianco dell'altra su Internet e sui social network: al tempo stesso, la massa e la nicchia. Al tempo stesso, la cultura per tutti e la cultura per ciascuno. Al tempo stesso, l' informazione in 140 caratteri e il tempo lungo di 10 pagine di critica a un libro. Al tempo stesso, Avatar e la foto della neve di fronte a casa mia. Al tempo stesso, il mainstream (Flammarion) e l'anti-mainstream. In Iran, ma anche a Cuba, in Arabia Saudita, nel sud del Libano o in Venezuela, quest'anno ho visto dappertutto oppositori, donne o gay meno isolati grazie al web. A Damasco o all' Avana, la cultura di massa americana spesso viene percepita come una cultura emancipatrice: è una controcultura accessibile grazie al web o al mercato nero. All'inverso, il sito di WikiLeaks, europeo e apolide al tempo stesso, esalta una forma di ciberdissidenza nel cuore dei Paesi occidentali, dove la libertà di espressione è incommensurabilmente più forte che in Corea del Nord. Questi paradossi confermano che Internet e i social network sono degli strumenti, di per sé né buoni né cattivi: sono, e saranno, quello che ne faremo noi. Bisogna difenderli (ad esempio contro il Governo americano, garantendo accoglienza a WikiLeaks), ma anche regolamentarli per proteggere il pluralismo, evitare il concentramento e difendere la libertà di espressione senza cadere nella calunnia e nella diffamazione generalizzata. WikiLeaks è utile, ma il futuro del web non è soltanto Wikileaks. Resta da capire se l'azione politica trarrà beneficio da queste evoluzioni. Sì e no. Sì, perché la trasparenza ci guadagna e la parola si libera. Grazie alla perdita del monopolio dell'intermediazione da parte di mediatori, critici, giornalisti, grazie al rinnovamento degli opinion leader culturali, i media sono più numerosi, i giudizi meno controllati e l'informazione più libera. I contenuti partecipativi, il web 2.0, i contenuti generati dagli utenti, gli scambi peer-to-peer, Wikipedia, gli aggregatori di contenuti, Flickr, la contestualizzazione, l'ibridazione offrono forme inedite di informazione e di cultura. D'altronde, ciò a cui stiamo assistendo non è soltanto una trasformazione della cultura, ma una nuova civiltà. Quanto alla pertinenza della mobilitazioni politiche generate dai social network e dalla Rete, ci sono meno ragioni per essere ottimisti. In un recente articolo Malcolm Gladwell sosteneva che Twitter non sarà mai in grado di stimolare una mobilitazione reale e un cambiamento importante: secondo Gladwell, se Martin Luther King avesse usato Twitter, non ci sarebbe mai stato nessun movimento dei diritti civili! (Small Change, The New Yorker) Non sarei tanto drastico. Ho visto recentemente, all'Avana e a Teheran, gli effetti positivi dei blogger anticastristi e antimullah. Certo, per il momento servono più a galvanizzare i cubani di Miami o gli iraniani di Los Angeles che a far cadere le dittature. Ma nell'Italia di Berlusconi e nella Francia di Sarkozy è su Facebook, sui blog e su Twitter che si organizza la mobilitazione. Bisogna sempre cominciare a condurre le lotte at home, prima di sperare di poterle importare nel resto del nostro small world." (da Frédéric Martel, Se Wikileaks sbarcasse a Teheran, "La Repubblica", 18/12/'10; trad. di Fabio Galimberti)

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