lunedì 4 gennaio 2010

Sanguineti di Gilda Policastro


"Vatti a fidare delle collane accademiche. Quella ben curata da Romano Luperini per l’editore Palumbo ricostruisce la fortuna critica dei «classici» del nostro Novecento, e stavolta tocca a un classico sui generis: parlo del Sanguineti, appena uscito, della bravissima Gilda Policastro. Classico paradossale, Edoardo Sanguineti, capofila dell’ultima delle avanguardie: il Gruppo 63. Ma autenticamente tale: non a caso alla nozione di «classico» ha sempre dedicato acute considerazioni (si veda, pure fresca di stampa, la conversazione con la stessa Policastro nell’Almanacco Bur curato da Roberto Andreotti).
Si potrebbe appunto pensare che una storia e antologia della critica non possa riservare frissons; ma qui si scopre, invece, un’autentica sorpresa. Uno di quei dettagli che può ridisegnare le mappe più accreditate, così riaprendo un «processo» - quello appunto alla neoavanguardia - che si dà in genere per passato in giudicato: col negarle una produzione all’altezza dei presupposti teorici. Uno dei testi più ambiziosi, e più spesso adibiti a prova a carico, è il primo romanzo di Sanguineti, Capriccio italiano, uscito proprio nel ’63. E in questa riduzione hanno insistito soprattutto critici ispiratisi al meno «formalista», al più «esistenziale» dei maestri: Giacomo Debenedetti. Non era un mistero, tuttavia, la stima reciproca di Sanguineti e Debenedetti.
Il primo aveva dedicato al secondo, nel ’56, uno dei suoi saggi più penetranti; e la leggenda voleva che, in una presentazione alla libreria Einaudi di Roma, proprio Capriccio italiano fosse stato oggetto di un’apertura di credito da parte di Debenedetti. Proprio questo testo, perduto, è stato ora ritrovato da Policastro. Debenedetti, che memorabilmente ne aveva parlato a proposito di Proust, non fatica a ricondurre Capriccio italiano all’archetipo della nekyia, la catabasi agli Inferi (del resto l’autore condivideva col critico una forte attrazione per Jung), ma da un altro motivo antropologico, quello della gestazione maschile, deduce un’interpretazione metanarrativa: la gestazione è proprio quella del romanzo che leggiamo.
Al di là della lettura (per me geniale; ma so di dire, parlando di Debenedetti, una banalità), l’episodio vale come incunabolo di una lettura esistenziale dell’avanguardia che in seguito è per lo più mancata: sicché l’avanguardia, in Italia, è stata letta coi suoi medesimi strumenti linguistici e ideologici. Oggi - che l’avanguardia non c’è più ma i suoi testi, piaccia o no, restano - è venuto il momento di raccogliere quell’esempio." (da Andrea Cortellessa, La fortuna di Sanguineti, classico paradossale, "La Stampa", 30/12/'09)

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