sabato 9 gennaio 2010

Diario di lettura: Maria Luisa Spaziani


"Ha il sapore di uno scongiuro l'aforisma che Maria Luisa Spaziani associa all'imminente uscita di un suo libro - di aforismi appunto - presso una casa editrice neozelandese: «Tremo pensando a quel fatale calo di umorismo che mi sorprenderà in punto di morte». A cui sembra far eco la secca e illuminante definizione di Italo Calvino scelta per fare da viatico all'ultimo libro poetico, L'incrocio delle meridiane, uscito da San Marco dei Giustiniani con una introduzione di Stefano Verdino: «Maria Luisa Spaziani, un raro caso di poeta che sia insieme ispirato e spiritoso».
Non siamo a Roma, il luogo più stabile di una nomade dichiarata quale la Spaziani è sempre stata, ma a Carcare, il luogo delle radici, perché di qui era la nonna paterna, che - figlia di emigranti - era nata a Montevideo, ma che era poi tornata in Italia e a Carcare aveva sposato Amedeo Spaziani, un ciociaro di origini seminobiliari che per un dissesto finanziario della famiglia era stato costretto a trovare lavoro in ferrovia.
All'infanzia di Carcare sono collegabili anche le prime letture? «A quell'infanzia sono legate soprattutto le fiabe che alla sera, proprio qui dove siamo ora, nell'orto degli zii ci si riuniva nell'orto favoloso, pieno di fiori e di frutti, dove ho anche partecipato alla raccolta delle patate e di dove partivamo in spedizioni notturne per rubare le susine nella villa dei vicini che le lasciavano marcire. In questo luogo la zia Bice raccontava le favole a me e alla cuginetta Bruna: pozzi principi tesori, una meraviglia. Ma anche mio padre ha fatto la sua parte. Ricordo le sere in cui si sparecchiava, si metteva una tovaglia adatta e lui sceglieva da un'antologia intitolata Vita: una poesia di Vittoria Aganoor, una di Giovanni Cena, una di Pascoli ("lenta una zana dondola"), qualche ottava della Gerusalemme liberata, sentivo molto il ritmo di Amalia Guglieminetti. Uno dei miei primi amori poetici è stata Ada Negri, una poesia come “Le violette”. Ma anche Gozzano, poesia e prosa: Verso la cuna del mondo, La via del rifugio, I colloqui. “Le due strade” è una delle sue poesie più belle che potrei citare a memoria».
E’ stata lettrice precoce? «Non precocissima. Tra i cinque e i dieci anni la scuola mi sembrava un gioco ma per me studiare è sempre stato un piacere straordinario. Ho letto Pinocchio, ma anche un libro meno noto che consideravo gemello, Le avventure di Fiammiferino, di Luigi Barzini. Ho vissuto la fase dei grandi libri ridotti, Dickens, il Don Chisciotte (cui sono poi tante volte tornata nella traduzione di Vittorio Bodini), le Confessioni di un italiano, che si chiamavano le Confessioni di un ottuagenario e che ho poi letto integralmente tre volte. Ma la festa era Il Corriere dei Piccoli. Che dire delle rime di Sto, Sergio Tofano con le storie del sor Pampurio? E delle rime baciate di Mio Mao? C'è stato il tempo dei Ragazzi della via Paal, di Zoltán Kodai, di Tom Sawyer, di Salvator Gotta. C'è stato il tempo di Salgari. E poco più tardi il meraviglioso Hermann Hesse. Come dice Proust in Journées de lecture, assorbivo tutto come una radice avida».
E poi? «E poi tra i quindici e i diciotto ho fatto l'incontro fiammeggiante con Il conte di Montecristo. Tutti conoscono la prima parte, ma pochi la seconda, che non è meno ricca di fatti. In un mio racconto m'è piaciuto inventarmi l'incontro del conte di Montecristo con l'abate Faria vent'anni dopo. L'uomo più ricco del mondo gli chiede la formula definitiva della saggezza e l'abate Faria gli risponde: "La misura è la misura di tutte le cose". Nei rifugi e nelle cantine, durante i bombardamenti, mi sono nutrita ancora di letteratura francese: Dumas, Flaubert, Zola, il Candide di Voltaire che è stato per molto tempo il mio livre de chevet, Victor Hugo, molto il suo teatro: ad esempio Hernani, che tutti conoscono per via di Verdi, ma che è di suo una lettura eccezionale».
Il suo amore per gli aforismi abbraccia anche i moralisti classici? «Certo. Anche quelli che continuano nel Sette e Ottocento. Senza dimenticare i quaresimalisti: Bossuet, Bourdaloue. Il grande storico della letteratura francese Gustave Lanson si domandava come alla corte del Re Sole Bossuet riuscisse a tenere desta l'attenzione così a lungo durante il grande quaresimale. Ci riusciva attraverso gli aforismi, la concatenazione di sensi e controsensi, i giochi di parola. Diceva che paradossalmente il più grande allievo di Bossuet è forse stato Oscar Wilde».
Prima è stata evocata la presenza di Proust. «Proust è stato il mio battesimo
da adulta. Sulla Recherche ho discusso la mia tesi a Torino con Ferdinando Neri e non molto tempo fa hotenuto alla Sapienza una lectio magistralis prendendo come base i campanili di Martinville. Proust è il gran tema della memoria. La memoria è tutto e mi sembra persino un luogo comune, maè la memoria a renderci umani. Nel mio libro di racconti che s'intitola La freccia, edito da Marsilio, sono partita da un racconto di Proust che lui non amava molto e mi sono immedesimata nel protagonista, facendone una cosa mia: La mélancolique villégiature de madame de Breyves. In tutto Proust non c'è mai una donna innamorata, tranne Madame de Breyves».
Una domanda su Montale come maestro di letture, dica la verità, lei se l'aspetta. «Montale mi ha avviato alla lettura di filosofi come Bergson, che amava molto e di cui aveva avuto l'imprinting da ragazzo, l'anello che non tiene e così via. Ma anche Boutroux: il fantasma che ti salva, l'ancestrale che è in noi. Facevamo il giro delle biblioteche a Parigi, la Mazarine, la Nationale, mi accompagnava nelle mie ricerche su Giovanna d'Arco. Con lui ho incontrato i filosofi tedeschi, Jaspers, Heidegger, e anche un po' gli scrittori inglesi. Lui ha avuto un'ubriacatura per Eliot, non solo la poesia ma il teatro. Cocktail party e Assassinio nella cattedrale li abbiamo visti al Piccolo messi in scena da Strehler. Allo stesso modo abbiamo visto più volte il Galileo di Brecht interpretato da Tino Buazzelli. Insisteva anche molto sulla necessità di leggere le Rime petrose di Dante».
Quanto ha contato il rapporto con un atleta della lettura come Elémire Zolla? «La nostra era un'unione alla Dafni e Cloe. Ciò che sappiamo o abbiamo saputo ce lo dobbiamo reciprocamente. Con lui abbiamo letto, studiato, riletto le passioni della vita, sue e mie: prima di tutti Dostoevskij e Kafka, e poi i filosofi: Sartre, che non amavamo, Camus, che invece amavamo moltissimo. Con lui abbiamo letto Hofmansthal e soprattutto Rilke, a cui come poeta io devo moltissimo. Ho visto nascere pagina dopo pagina il suo primo romanzo, Minuetto all'inferno. Ricordo il giorno in cui gli regalai l'edizione Gallimard di tutto Gide. Lui mi prese la mano e me la mise sul suo cuore che batteva fortissimo: "Il sogno della mia vita", mi disse».
E di quegli anni di Torino? Di intellettuali come Galvano, Seborga, Navarro, Battisti, Ciaffi, Cremona? «Cremona era di un'intelligenza sfavillante. Ma per me il maestro è stato Vincenzo Ciaffi, un professore eccezionale. Ciaffi è stato nascosto a casa mia due mesi, quand'era capo partigiano e per me è stato un po' come per Ronsard, allievo e “convivente" al Collège du Coqueret del grande grecista Dorat. A casa mia, la sera, leggevamo Tibullo, Properzio, Catullo, che proprio allora stava traducendo. Cito a memoria: “Se gli occhi tuoi di miele, Fulgenzio, mi lasciassero baciare, / di seguito baciare / li bacerei con trentamila baci. / Né mai mi sembrerebbe d'esser sazio, / quand'anche la messe dei miei baci / fosse più densa delle aride spighe».
Quanto prossima alla lettura la sua attività di traduttrice? Madame Bovary, Marguerite Yourcenar, Ronsard, Tournier, le tragedie di Racine in rima baciata? «Tradurre è leggere dentro, in profondità. Per me è voluto dire
incontrare Racine, che ho tradotto con passione, "avec mes tripes": cinque tragedie in rima baciata ma senza forzature. Ronsard, che io trovo molto spiritoso, è stato un incontro d'anima. Tournier mi è stato proposto, con lui ho scoperto un capolavoro assoluto, il romanzo Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. La Yourcenar l'avevo incontrata a Parigi e ne era nato quasi per scommessa l'idea di tradurre Le coup de grace, che poi generò delle incomprensioni per via della prefazione con cui Bassani lo volle pubblicare nella prima Feltrinelli. Ma fu poi la stessa Yourcenar, donna molto difficile, a propormi di tradurre Novelle orientali e Feux,come feci»." (da Giovanni Tesio, 'E mio padre invitava tavola Gozzano', "TuttoLibri", "La Stampa", 09/01/'10)

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