martedì 5 gennaio 2010

La fine dello stupore


"Gli storici del Medio Evo ci dicono che, all'epoca, per l'abitante di un villaggio c'era la possibilità che non andasse mai nel corso della sua vita nel villaggio o nella città distante dieci chilometri, ma alcune possibilità che visitasse come pellegrino San Giacomo di Compostela o Gerusalemme. Quindi conosceva certamente le sculture e le vetrate della sua chiesa, ma cosa avrà visto e capito degli edifici che incontrava nel corso del suo pellegrinaggio? Di fronte a qualcosa di mai visto, che sfida le nostre stesse capacità di percezione, è molto facile non volerlo vedere. Qualcuno ha messo in dubbio che Marco Polo fosse stato veramente in Cina perché non parla della Grande Muraglia, del tè, e dei piedi fasciati delle donne. Ma si possono passare molti anni in Cina senza rendersi conto di cosa loro bevono, senza mai osservare il piede di una donna, se non altro per educazione, notando al massimo che alla corte del Gran Khan le dame camminano a piccoli passi, e senza passare nei pressi della Grande Muraglia, o passarci, e credendola una fortificazione locale. Questo per dire che, sino a questo secolo, la conoscenza che le persone avevano dell'arte di altri paesi e civiltà era molto ridotta. Peraltro si vedano le bellissime incisioni del China di padre Athanasius Kircher: è molto difficile da quelle ricostruzioni visive (fatte seguendo le descrizioni verbali dei missionari) riconoscere una pagoda. Quante opere d'arte della propria civiltà vedeva un cittadino francese sino al XIX secolo? Una volta chiarito che l'accesso alle collezioni private e persino ai musei era riservato a una élite, e in ogni caso a una élite cittadina, sino all'invenzione della fotografia per sapere com'era un' opera, poniamo, conservata a Firenze, si faceva ricorso a delle incisioni - ahi, quegli splendidi libri di Lacroix in cui le madonne di ogni secolo (fossero bizantine o rinascimentali) avevano il volto delle fanciulle che popolavano i racconti storici dell'epoca romantica! Ricordiamoci che una delle etimologie di Kitsch - ma le ipotesi sono molte - è sketch, schizzo, disegno sommario e affrettato: i gentiluomini inglesi nel corso del Grand Tour in Italia, per conservare memoria dei monumenti e delle gallerie che visitavano, chiedevano ad artisti di strada di fargli appunto uno schizzo, sovente molto affrettato, dell' opera vista una volta sola. Così anche la memoria dell' esperienza artistica diretta era mediata da rappresentazioni infedeli. Né si può dire che anche con l'invenzione della fotografia le cose siano andate molto meglio, e basta consultare qualche libro famoso di storia dell'arte della prima metà del XX secolo, sino a che non sono diventate possibili le riproduzioni a colori. Quello che succedeva per le arti visive accadeva anche per il mondo dello spettacolo. È nota quella splendida novella di Borges in cui Averroè, che inutilmente cerca di tradurre da Aristotele i termini "tragedia" e "commedia" (perché quelle forme d'arte non esistevano nella cultura musulmana), sente raccontare di uno strano evento a cui un viaggiatore ha assistito in Cina, con persone che sopra un palco, mascherate e travestite come personaggi d'altri tempi, agivano in modo incomprensibile. Gli si stava raccontando cos'era il teatro, ma lui non capiva di cosa si trattasse. Nel mondo contemporaneo la situazione si è ribaltata. Anzitutto la gente viaggia, anche troppo, a costo di vedere ovunque lo stesso luogo, hotels, supermercati e aeroporti l'uno simile all' altro, a Singapore come a Barcellona, e molto si è detto sulla maledizione dei "non luoghi". Ma in ogni caso qualcosa la gente vede e c'è anzi la possibilità che un francese abbia visto le Piramidi o l'Empire State Building ma non la Tapisserie di Bayeux (un poco come accadeva al contadino medievale ...). Il museo, che prima era riservato a persone colte, oggi è meta di flussi continui di visitatori d'ogni strato sociale. Forse molti guardano ma non vedono, ma in ogni caso acquisiscono informazione sull'arte di diverse culture. Inoltre i musei viaggiano, le opere d'arte si spostano. Vengono organizzate mostre sontuose su culture esotiche, dall'Egitto dei Faraoni agli Sciti, il gioco dei prestiti reciproci d'opere d'arte si fa vertiginoso, talora pericoloso. Lo stesso si può dire degli spettacoli e certamente un abitante di una città anche secondaria ha più possibilità di vedere uno spettacolo del Berliner Ensemble o un No giapponese di quanto non accadesse ai suoi genitori. Si aggiunga l'informazione virtuale: non dico il cinema o la televisione, che quasi rendono superflua una visita a Los Angeles, che si percorre meglio sullo schermo che facendo una gimkana convulsa da un'autostrada all'altra, senza mai sbarcare in un nucleo abitato; ma Internet, che ci mette oggi a disposizione tutte le opere del Louvre, o degli Uffizi, o della National Gallery. Che questo provochi una internazionalizzazione del gusto è provato dalla travolgente esperienza di chi prenda contatto col mondo artistico cinese: usciti da poco da una situazione di isolamento quasi assoluto gli artisti cinesi producono opere difficilmente distinguibili da quelle esposte a New York o Parigi. Ricordo un incontro tra critici europei e cinesi, con gli europei che credevano di interessare i loro ospiti mostrando immagini di varie ricerche artistiche europee, e i cinesi che sorridevano divertiti perché quelle cose le conoscevano ormai meglio di noi. E infine, si pensi a tanti giovani di ogni paese che conoscono la musica leggera solo se cantata in inglese ... Si andrà verso un gusto generalizzato, per cui un pop cinese sarà indistinguibile da un pop americano? O si delineeranno delle forme di creolizzazione, per cui culture diverse produrranno interpretazioni diverse dello stesso stile o programma artistico? Certamente il nostro gusto sarà segnato dal fatto che non pare più possibile provare stupore (e incomprensione) di fronte all' ignoto. Nel mondo di domani l'ignoto, se ci sarà ancora, sarà solo oltre le stelle. Questa mancanza di stupore (e di rigetto) contribuirà a una maggiore comprensione tra le culture o a una perdita d'identità? Di fronte alla sfida non vale fuggire: meglio intensificare gli scambi, le ibridazioni, i meticciati. In fondo in botanica gli innesti favoriscono le colture. Perché no nel mondo dell'arte?." (da Umberto Eco, La fine dello stupore, "La Repubblica", 02/01/'10)

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