venerdì 22 gennaio 2010

La strada di Levi


"Soltanto scrittori stranieri hanno affrontato la prova di una biografia di Primo Levi, in particolare l’inglese Ian Thomson con un volume del 2002 non tradotto in italiano, ricostruzione straordinaria per l’acume delle ricerche, e Carol Angier, che vive a Oxford, con Il doppio legame, tradotto nel 2004 (Mondadori), lettura dell’autore di Se questo è un uomo in chiave psicoanalitica. Probabilmente in Italia i tempi non sono ancora maturi, per cui si privilegiano o la biografia di Levi attraverso i libri e gli articoli che ci ha lasciati, come l’Introduzione di Cesare Cases alla prima edizione einaudiana delle Opere (1987) in cui il critico rivaleggia con l’amico, oppure l’avvicinamento tra approcci laterali com’è lo stile di Marco Belpoliti, curatore della seconda edizione delle Opere (1998) e considerato oggi il miglior conoscitore di Levi.
Proprio Belpoliti e l’italianista Andrea Cortellessa dell’Università di Roma sono gli autori di un prezioso volumetto che vede la luce da Chiarelettere, Da una tregua all’altra, Auschwitz-Torino 60 anni dopo, e che sarà presentato domani a Torino, ore 17, alla libreria Coop di piazza Castello (con gli autori, il vicedirettore della Stampa Cesare Martinetti). Un testo che raccoglie materiali singolari tutti editi ma spesso introvabili.
Il cuore del libro sono cinque testi di Belpoliti apparsi in varie miscellanee o frutto di relazioni a convegni che mettono a nudo i nodi delle esperienze di Primo Levi come testimone e come scrittore. Innanzitutto il tema del «zona grigia», cioè dell’informe bacino di responsabilità e coscienze che sta a metà strada tra le vittime e i persecutori, idea poi ripresa negli studi su fascismo e antifascismo. Altri due temi forti scandagliati da Belpoliti sono la ritrosia o il pudore di Levi nel definirsi scrittore, e poi il posto occupato dai sogni e dagli incubi, dalla vita onirica nei suoi scritti.
La ragione del libro è invece un viaggio che Belpoliti ha fatto per La Stampa nei luoghi della Tregua, l’opera del 1963 vincitrice del Campiello, che impose Levi non solo come icona ebrea della Shoah ma anche come scrittore, narratore limpido e fantastico creatore di tipi picareschi e novellatore di memorie classiche. Viaggio fatto con il regista Davide Ferrario che ne ha tratto il film La strada di Levi venduto in dvd insieme al libro, un film di storia perché si vede il confronto tra immagini opposte del Grande Est e del socialismo reale: quelle dell’accidentato ritorno a casa di Levi e quelle del cammino di Belpoliti e Ferrario sulle sue tracce.
Fondamentali all’inizio del libro due deposizioni giurate rese da Primo Levi nel 1960 e nel 1971, fatte conoscere da Belpoliti attraverso le pagine dell’Espresso e della Stampa. Documenti importanti perché toccano questioni capitali come il valore della prova nei processi contro gli aguzzini dei Lager e perché affrontano un punto complesso e ambiguo nella persecuzione degli ebrei italiani, il campo di concentramento di Fossoli da cui il 22 febbraio 1944 partì il treno che portò Primo a Auschwitz. Quel treno spaccava in due una vita, tagliava un confine tragico nella storia, era l’ultima fuga dall’umanità. In un’intervista raccolta nel libro Levi confessa l’effetto violento che gli faceva la semplice visita di un treno merci." (da Alberto Papuzzi, La strada di Primo Levi
tra i sogni e gli incubi
, "La Stampa", 22/01/'10)

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