venerdì 5 giugno 2009

La vita delle cose di Remo Bodei


"Una scarpa, una lampada, un tagliacarte, una stufa, un copertone. Semplici cose - vendute, comprate, usate, e poi gettate in un cassetto, in un garage, in una discarica. Oggetti nudi, ancora nuovi o già logori, intatti o consumati, comunque destinati all'insignificanza e alla distruzione, dopo averci servito come schiavi di pelle, di plastica, di metallo. E' questo il destino delle cose? O esiste un altro sguardo su di esse, capace in qualche modo di riscattarle dal loro ruolo anonimo e inerte? E' questa la domanda, intensa e originale, che ci pone Remo Bodei nel suo ultimo libro dedicato a La vita delle cose (Laterza). Partendo dalla differenza semantica con il termine 'oggetto' - inteso come qualcosa che si contrappone al soggetto e quasi lo sfida a sopraffarlo e possederlo - il termine 'cosa' ha fin dalle sue origini un significato più ampio che implica un nesso esistenziale con gli uomini e con la loro vita di relazione. Le cose sono ciò cui essi si rivolgono, che sta loro a cuore, che concentra il loro interesse, che annoda le loro passioni. Certo, come oggetti, anche le cose sono mute, inanimate, disponibili al nostro uso, pronte a diventare merci di scambio e di consumo, destinate, col tempo, a deteriorarsi e a svanire. Ma non senza avere avuto una loro, peculiare, vita costituita dai molteplici significati che gli uomini conferiscono loro, amandole o anche respingendole. Esse trasportano, comunque, una storia fatta di culture, tradizioni, investimenti che si depositano nella loro sagoma dando senso e valore. Non sempre, naturalmente, ce ne accorgiamo - non sempre sappiamo entrare in una relazione aperta e vitale con le cose. Per farlo dobbiamo in qualche modo uscire da noi stessi, rompere quella barriera che abbiamo costruito tra noi ed esse, per poterle definire e dominare. E' per questo che Bodei, aprendo una diversa prospettiva, ci richiama all'attimo in cui passiamo dal sonno alla veglia, quando non abbiamo focalizzato il nostro sguardo e le cose circostanti ancora fluttuano tra strati diversi di senso, ancora non hanno acquisito un assetto stabile e definitivo. Allora - in quello stato di transizione tra il buio e la luce, prima che il nostro campo percettivo si fissi - le cose rivelano le loro infinite sfumature, ci lasciano entrare nella loro vita enigmatica ed entrano nella nostra. Quello che proviamo in questo stadio ancora impersonale, non ancora segnato dalla pienezza della volontà e della ragione, ha costituito l'oggetto prevalente della filosofia e dell'arte novecentesca. Il mosaico di riferimento costruito da Bodei è davvero straordinario. Se già Hegel poteva scrivere che 'il conoscere filosofico esige che ci si abbandoni alla vita delle cose', è soprattutto la scuola fenomenologica, da Husserl a Merleau-Ponty, a riconoscere quella connessione vivente che stringe il nostro corpo alle cose e al mondo. Da Simmel a Bloch, a Heidegger l'intero pensiero contemporaneo lavora alla decostruzione di quella separazione tra soggetto e oggetto che spinge le cose veros il niente, recuperandone invece la rete simbolica che le immette nell'orizzonte affettivo e cognitivo della nostra esperienza. Alla filosofia risponde l'arte con altrettanta tensione. Cosa fanno Matisse e Picasso, Morandi e Liechtenstein, se non riportare nel nostro mondo la potenza della pittura olandese dei Seicento - la sua passione per oggetti solo apparentemente inanimati. In essa vegetali e frutta, fiori e cacciagione possono anche definirsi 'natura morta'. Apparire prossimi alla decomposizione. Ma ciò che si decompone, davanti allo sguardo dello spettatore, è la loro vita, la vita di cose tanto prossime da fare tutt'uno con noi. Esistono ancora quelle cose? Ci parlano ancora, le nostre cose, come quelle? O se ne è persa la forza d'irradiazione? L'aura, come sostiene Benjamin, si perde nel passaggio dall'esemplare unico alla produzione in serie? La risposta di Bodei è che questo rischio esiste. Che, come scrive Rilke, 'le cose amate, vissute, consapevoli, con noi declinano. Noi siamo forse gli ultimi che abbiamo conosciuto le cose'. Ma forse è vero anche il contrario. Oggi la bellezza delle cose ha rotto il recinto dei musei e delle chiese, si è riversata nelle strade e nella vita quotidiana. Continua, dal fondo della nostra vita frenetica, a interpellarci. Sempre che siamo capaci di ascoltare la loro voce. Di prenderci cura di loro così come esse fanno da sempre con noi. Restituire valore alle cose, farle durare nel tempo, rispettare la loro prossimità e la loro distanza, è forse l'unico modo di ridare senso alla nostra vita." (da Roberto Esposito, La voce degli oggetti, "La Repubblica", 04/06/'09)

1 commento:

Anonimo ha detto...

è proprio così ci penso spesso a questo e infatti cerco di non contribuire al consumismo di oggi,ma per essere così devi essere una persona felice e gratificata dalla tua interiorità che di solito si conquista a caro prezzo in questo mondo che ha fatto dell'avere il credo più importante della sua vita. ciao