martedì 23 giugno 2009

Banville: "Noi scrittori uccisi da Foucault"


"'Che importa chi sta parlando?' E' la domanda che, in modo irritante, pone uno dei moribondi narratori di Beckett e il fatto che io non riesca a ricordarmi chi sia costituisce forse parte della risposta. In chiusura di Le parole e le cose Michel Foucault, notoriamente, riformulò la domanda durante le esequie - certamente premature - per la 'morte', in generale, dell'autore. Se Beckett avesse conosciuto, cosa che probabilmente avvenne, l'opera di Foucault, avrebbe di certo approvato con grande entusiasmo la campagna, in un certo qual modo sinistra, dell'intellettuale francese per l'annichilimento dell'autorità del romanziere, o del poeta - o in verità dovremmo presumere, del filosofo-autorità sul proprio lavoro. Per Foucault, come per molti altri fanatici delle paludi accademiche di circa una generazione fa, la risposta alla domanda di Beckett non è tanto un ‘chi’ bensì un ‘cosa’. Secondo Foucault, non si tratta dell’autore che parla o scrive ciò che scrive, ma è il linguaggio stesso, con tutti i suoi echi e riverberi, i suoi sibili e ululati proveniente dall’oscura foresta del passato. Noi non sappiamo cosa diciamo quando parliamo, perché in realtà non parliamo, bensì veniamo parlati, e quello che noi pensiamo come un discorso razionale non è altro che un confuso barcollare nel sottobosco che i millenni di utilizzo hanno depositato sul suolo della foresta. La selva oscura di Dante è una boscaglia di parole logore nella quale non ci svegliamo mai totalmente. La campagna del ventesimo secolo per declassare lo scrittore da creatore a strumento, da padrone del linguaggio, come Oscar Wilde lo intese, a suo schiavo, fu fortemente osteggiata da molti critici e accademici, specialmente in Inghilterra, dove la teoria è criticata e i neo Giacobini della cultura francese godono di una considerazione che è un miscuglio di disprezzo, paura e risentito divertimento. Fu il silenzio degli innocenti, comunque, a essere notevole. La maggior parte degli scrittori - ovvero gli scrittori creativi, come veniamo chiamati - si sottrassero al dibattito. Come mai, perché non protestammo mentre Foucault e i suoi compari cercavano di mandarci al macello? Credo si trattasse del fatto che sentivamo, con fastidio, ma con un certo sollievo, che il nostro segreto era stato scoperto, che la nostra essenziale non-esistenza, la nostra inesistente essenza, era venuta alla luce. Qualche anno fa la Rte, la rete televisiva nazionale irlandese, commissionò un documentario su di me e sui miei lavori, dando enfasi, dietro mia insistenza, all´opera. Il direttore del programma, anch´egli un auteur, era acuto e perspicace e il programma che ne derivò eccellente, meritandosi, a giusto titolo, molti consensi. La prima domanda che mi pose, il primo giorno di riprese, fu, «Chi è ?». Sullo schermo appaio esitante per un lungo istante prima di fornire quella che all´improvviso mi sembrò l´unica risposta possibile. «Beh, vede», risposi, «non c´è nessun John Banville». In quel momento non capii del tutto che cosa intendessi. Certamente, e voi potete vederlo, esiste un John Banville, ed è il povero forcuto essere umano che si alza al mattino, si veste, fa colazione, si avventura fuori nel mondo quotidiano, che ha opinioni e va a votare alle elezioni, che ama i suoi bambini e che un giorno morirà. Ma quel John Banville non è lo stesso il cui nome appare sul dorso dei suoi libri. Non si tratta del John Banville che sogna una storia e la popola di personaggi. Non è il John Banville che se ne sta tutto il giorno seduto alla scrivania a lavorare sulle parole. Quell´altro, misterioso, John Banville è, in un parola, invisibile.
Più avanti nel documentario Rte – il cui titolo, a ogni modo, e non in maniera insignificante, era Essere John Banville – c´è una divertente e illuminante sequenza di stregoneria tecnica che mi vede seduto alla scrivania, ipoteticamente immerso nel lavoro, mentre allo stesso tempo un altro me, identico a quello seduto, gira per lo studio intento a prendersi cura delle piante di casa con un innaffiatore. È una bella metafora e illustra in modo arguto una delle tematiche principali che io e il regista seguimmo per tutto il programma – lo stesso tema, ovviamente, che sto trattando qui oggi, cioè, il tema della duplicità dello scrittore.
Quando faccio letture in pubblico o partecipo a prestigiose manifestazioni come questa, e incontro faccia a faccia alcuni dei miei lettori, mi sembra di cogliere nei loro occhi il sorgere di uno sguardo di leggero disappunto, di insoddisfazione. È come se la persona per la quale erano venuti, nella speranza di incontrarla, non si fosse presentata. È come se il John Banville dinanzi a loro, quello che cerca di fare del suo meglio per essere non solo cortese, ma anche plausibile, non fosse, in qualche modo, il John Banville che pensavano di conoscere dalle pagine dei miei libri. E hanno ragione – non è la stessa persona. Quel John Banville, gli voglio dire, quello che scrive le storie che loro ammirano, esiste solo quando questo John Banville si siede alla mia scrivania ogni mattina e impugna la mia penna, e cessa di esistere quando, giunta la sera, poso la penna.
Che relazione esiste tra questi due, lo scrittore che è visibile davanti a voi adesso e l´altro che se ne sta invisibile accanto a me? Tutti sperimentiamo questo dualismo, o qualcosa di molto simile, quando alla sera ci sdraiamo a letto per dormire. Per un po´ l´occupante si gira e si rigira, mentre con la mente ripercorre gli avvenimenti della giornata, preoccupato per gli errori e i misfatti e celebrando i piccoli trionfi. In breve, comunque, si leva da lui l´ectoplasmico altro, quello sognante, che prende il controllo e parte per uno sfrenato giro di piacere notturno, fatto di sgommate lungo tornanti, immersioni a profondità impossibili, svolazzando anche per aria, a volte, mentre figure bizzarramente familiari lo salutano e si prendono gioco di lui, oppure si gettano sul suo cammino facendo capriole e piangendo. Poi arriva il mattino e il suono stridulo della sveglia; il dormiente si sveglia e la sua vampiresca versione notturna si rintana ancora una volta nella cripta, nell´attesa di un altro crepuscolo. Quello che sogna, quello che scrive: sono cugini di primo grado se non, in realtà, fratelli gemelli. E ora, sebbene io non sia sicuro chi di noi stia parlando, Banville e io vi porgiamo il nostro evanescente saluto di congedo e diventiamo ... invisibili." (da John Banville, Noi scrittori uccisi da Foucault, "La Repubblica", 23/06/'09)

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