Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
venerdì 8 maggio 2009
Insetti senza Frontiere di Guido Ceronetti
"A che scopo poeti in tempi di penuria? La domanda di Friedrich Hölderlin si ripete, nei millenni: è nella poesia Pane e Vino, ma l’autore quasi svanisce perché la domanda è dentro di noi. Pervade i salmi biblici, e specialmente il Qohèlet. Riaffiora ogni volta che l’umanità è in stato di penuria, in Dürftiger Zeit: ogni volta che ci manca qualcuno o qualcosa, cioè sempre. Riemerse, afasica, quando in Europa accadde l’impensabile: i forni a gas, dentro cui furono stipati esseri viventi da uomini che avevano a che fare non con la bestia, ma con qualcosa d'inarrivabile per il pensiero. Nel ‘49 Adorno scrisse: «Dopo Auschwitz, scrivere una poesia è barbarico». Ancora non aveva letto quel che la poesia poteva, sul pavimento dell’abisso - la Fuga della Morte di Celan, scritta nel ‘45, apparve nel ‘52 - e il «negro latte dell’alba» gli fece cambiare idea. Ma la domanda resta: se abbia senso poetare, quando c’è tanta mancanza. Per chi s’interroga si aprono vie inattese, e tra queste l’ultimo libro di Guido Ceronetti, poeta dei nostri tempi dürftig (Insetti senza Frontiere, Adelphi). Filosofo Ignoto è il nome che sceglie per sé, perché anche la filosofia non muore ma aiuta. Come aiutano le parole, non distorte. I lettori della Stampa conoscono Guido: il suo incaponito medicare le parole. Ceronetti scrive nella squisita forma breve - è arte tra le più scabrose - degli aforismi. In filosofia, la predilessero i moralisti: i grandissimi Seicenteschi che furono Pascal, La Rochefoucauld, La Bruyère. Il maestro era stato Montaigne. Sono moralisti anche Chamfort e Lichtenberg nel ‘700, poi Nietzsche, Hebbel, Lichtenberg, Cioran. Il moralista non ha una compatta concezione del mondo, ma pensieri paradossali e sparsi. Il chiaroscuro è la sua patria. Tutto gli è vicino - anche se un’infinità di fastidi gli «rigano l’anima» - tranne l’idea d’impartir lezioni, di moralizzare. Martin Luther King, ad esempio, Ceronetti lo trova angelico ma una cosa gli è intollerabile: il suo essere un predicatore (aforisma 321). «L’uomo che pensa non predica, non ha microfoni». Il moralista prende un fatto o un concetto e li sovverte per meglio penetrarli. Perfino la timidezza è sovvertita, nell’aforisma 342: un sentimento delicato ma che «causa ingenerosità», e aumenta man mano che «cresce la vergogna dell’ingenerosità» («Nelle donne crea stuoli di Cordelie che non riescono a rompere il guscio»). Oppure la nobiltà del pensare e i suoi imprevisti: «Creonte pensa, Antigone no» (aforisma 314). Lo scrittore Thomas Bernhard riteneva adorabili solo questi filosofi, profondi e allenati nella brevità del salmo: li chiamava Lachphilosophen, filosofi ridenti. Che danno gioia. Dar gioia è pungolo del Filosofo Ignoto, nell’opera e nella vita. Ci sono scrittori - lui è uno di essi - che dicono il tremendo con tanta forza che invece della lacrima stilla il sorriso. Succede anche leggendo Kafka o Beckett. C’è, nel nero, una proprietà numinosa, feconda, mentre «la luce è sterile» (aforisma 260). «Con tutta questa oscurità attorno a me mi sento meno solo», scrive Beckett nell’Ultimo nastro di Krapp. Non a caso la benedizione di Ceronetti è riservata agli insetti: la Metamorfosi di Kafka è in realtà «un testo di commovente esaltazione dell’insetto». Kafka stesso sembra pensarlo: nella sublime Relazione per un’Accademia, si racconta di una scimmia che diventa homo sapiens: per farlo deve uscire dalla propria natura, ma non è un’ascesa bensì un degradare. Una sorella-amica di Bose mi ha trascritto, dopo aver letto il racconto, il proverbio bantu: «Il colpo di fucile fece uscire dall’elefante un grido umano». Non stupisce che Ceronetti tenda a nascondersi dietro la forma breve, facendosi Ignoto: «Questi non sono che frammenti di briciole. Tanto per pensare di aver pensato e morire in pace» (Frammento 136). E ancora: «Un segno di vecchiaia è l’inettitudine a creare aforismi [...] Si ha paura di isolare il proprio pensiero in una riga e mezza come di perdere l’equilibrio e di cadere in strada; venti righe già valgono come un braccio di accompagnatrice, ti senti protetto, c’è qualcuno» (aforisma 144). Chi usa dilungarsi prova vergogna di sé. L’aforisma non è un trattato, somiglia più al proverbio. È un testo che definisce l’orizzonte, il limite vago fra terra e cielo. L’etimologia lo fa capire: l’aforisma viene dall’orizzonte, sapendolo apparente. In più frammenti Ceronetti ricorda la strada maestra, quella che si dà un orizzonte: è la strada che imbocca Stepan Trofimovic Verchovenskij, alla fine dei Demoni di Dostoevskij. La via non si sa dove vada ma «contiene un’idea»: una Grande Idea. La strada maestra «s’affaccia e chiama, con un suo caratteristico grido d’uccello molto simile a quelli di Max Ernst» (aforisma 173). La strada è un po’ come l’uomo-ponte del racconto di Kafka: «Da una parte erano conficcate le punte dei piedi, dall’altra le mani: avevo i denti piantati in un’argilla friabile. Le falde della mia giacca svolazzavano ai miei fianchi». D’un tratto si presenta l’occasione tanto attesa, un uomo lo traversa («Stenditi, ponte [...] sorreggi colui che ti è affidato. Compensa impercettibilmente l’insicurezza del suo passo; ma se vacilla, fatti conoscere e lancialo sulla terra come un Dio montano»). L’uomo tuttavia ferisce il ponte, lo precipita nel vuoto. Così nell’aforisma 162 del Filosofo Ignoto: «Lievi mani su sterminate voragini ordiscono lunghi lunghi ponti. Hai paura ma dietro di te c’è la famosa tigre che ti obbliga a percorrere il ponte che ti è apparso per salvarti. Sul lato opposto ti aspetta un’altra tigre, più cattiva e antropofaga della prima. Cominci a sperare di non arrivarci, che la vita finisca a metà del ponte». Chi comincia a «sperare di non arrivarci» è Angelo Ferito, in Ceronetti. A lui è segretamente dedicato il libro sugli insetti. A lui si suggeriscono le poche cose che salvano: la bellezza, il pensare, la filosofia. E le «parole d’amore disoccupate», buttate non nelle Raccolte Differenziate ma nel vento e nella notte." (da Barbara Spinelli, Parole d'amore disoccupate, "La Stampa", 08/05/'09)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento