giovedì 9 ottobre 2008

Una notte in cui la luna non è sorta di Dai Sijie


"Dai Sijie, scrittore oltre che regista, è il molto ammirato autore di Balzac e la piccola sarta cinese, che ha portato sullo schermo con successo. E' nato in Cina nel 1954, figlio di un medico e quindi, per definizione, 'nemico del popolo'. E' stato spedito in 'rieducazione' dal 1971 al 1974. Nel 1984 è riuscito a emigrare a Parigi per studiare cinema. E dunque, come per la storia raccontata in Balzac e la piccola sarta cinese, anche in questo nuovo libro suona viva e pesante l'esperienza di vita in quella Cina che è stata ed è per lui, Chine ma doleur (il titolo di un altro dei suoi film). Ma l'ambizione letteraria di Sijie con il tempo è cresciuta, e questa sua nuova creatura mescola in un affascinante e spesso faticoso percorso frammenti di autobiografia, invenzioni filologiche, linguistica vera e linguistica falsa, storia autentica e costruzioni fantastiche sulla storia, personaggi credibili (e finti) ed esperienza vera, secondo un intreccio che a tratti è troppo farraginoso e complicato per poter essere definito borgesiano, ma che a Borges guarda per la passione che mette in campo per la lingua. Al centro della storia c'è un manoscritto mutilato, un'antica sutra che comincia Una notte in cui la luna non è sorta, e che rimanda alle origini del buddismo, scritta in un'antica lingua sconosciuta e perduta, il Tumchouq, che (ipotizza dai Sijie) esisteva prima del mandarino. La vicend aprend ele mpsse nel luglio 1978 in un albergo a Pechino, durante una riunione preparatoria per la sceneggiatura di L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci. Poi eccoci al seguito di Pu Yi, l'ultimo imperatore, appunto, ossessionato dal modello di un suo antenato dell'undicesimo secolo, grande calligrafo e pittore che lui non riuscirà mai a eguagliare, e dai misteri del rotolo di seta che gli è arrivato dopo lunghe vicende e che lui, nel suo viaggio forzato verso il Giappone, a bordo di un aereo, lancerà nel vuoto, dopo averlo strappato coi dneti. Il manoscritto finirà tra le mani di un sinogolo francese, Paul d'Ampère (non esiste, è solo una credibile invenzione di Dai Sijie), destinato a morire brutalmente in un campo di lavoro cinese, dopo aver fatto un figlio, che si chiama guarda caso Tumchouq, con una bella signora di Pechino. La vicenda si ripete, con il figlio (che non nascerà) di cui è incinta la giovane sinologa da Tumchouq amata quando lui la lascia per andare alla ricerca del padre. E di ricerca in ricerca, di ossessione in ossessione, anche la ragazza, in un crescendo di citazioni e di ispirazioni diverse (c'è Conrad, in un non indispensabile excursus africano, c'è Borges, c'è il giovane Holden e naturalmente Marco Polo) arriva a Pagan, l'antica capitale del regno di Mons, a ricomporre il mistero del manoscritto mutilato, fino a completare la semplicissima e bella storia che la sutra racconta. Dai Sijie costruisce la sua storia come un puzzle che, pur affascinante, risulta spesso dispersivo, perché l'irregolare spezzettamento dei punti di vista e dei soggetti narranti rende a tratti faticosa la lettura. Ma nonostante l'eccessiva complessità della costruzione, nonostante lo sfoggio di erudizione e, a contraltare, l'impianto romanzesco, il libro vive di due cose: una raffinata scrittura che nutre pagine bellissime sull'amore per la lingua - la lingua come cultura, la lingua come patria, la lingua come identità da accettare o rifiutare - e l'angoscioso ritratto della affascinante, crudele e brutale cultura dell'antica Cina e della Cina comunista." (da Irene Bignardi, Mistero e dolore nella Cina di Mao, "Almanacco dei libri", "La Repubblica", 04/10/'08)

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