sabato 18 ottobre 2008

Alfonso Berardinelli: "C'era una volta il critico"


"La critica letteraria non occupa quasi mai il centro della scena. E' un genere aurorale e crepsucolare. Annuncia una letteratura che dovrà essere, o viceversa contempla quanto è già avvenuto, mette ordine, connette. Due dei più suggestivi archetipi della critica moderna, Francesco De Sanctis e Charles Baudelaire, quasi coetanei eppure lontanissimi (inimmaginabile un loro incontro), sono stati ognuno a suo modo sia aurorali che crepuscolari. Un sanguigno moralista come De Sanctis inventava l'Italia unita e futura rileggendo il suo glorioso e corrotto passato letterario. Da Dante e Petrarca fino a Manzoni e Leopardi, l'ideale doveva alla fine incontrare il reale e una grande letteratura avrebbe ispirato la costruzione di una nuova società italiana. Un melanconico immoralista coem Baudelaire vedeva invece con un'allucinata intensità cose che nel mondo moderno nessuno aveva visto. Metteva l'arte e la letteratura contro la storia, la morale, la borghesia, la socialità, la natura. Il suo programma non era educare alla realtà e alla speranza, come De Sanctis, ma evadere, provocare, apparire incomprensibili. L'uno è un umanista borghese e democratico che parla a un nuovo popolo. L'altro è un dandy che disprezza il pubblico medio, ama la folla anonima, si mescola ai disperati e ai 'sinistrati della vita'; studia Parigi come un'allegoria pietrificata in cui la Storia diventa repertorio di orrori e di delizie. La critica letteraria ha continuato a navigare fra queste due sponde, fra pedagogia pubblica e provocazione antisociale. Spesso i due aspetti convivono e si conciliano. Nel Novecento T. S. Eliot è il più tradizionalista degli innovatori: mescola l'estremismo isterico di Baudelaire e il moralismo vittoriano di Matthew Arnold, porta la desolazione più disperata verso un'idea di società cristiana e di nuova classicità. Gyorgy Lukacs è un umanista rivoluzionario ostile a Nietzsche e alle avanguardie, scommette su un'alleanza fra Balzac e Marx, fra Tolstoj e Lenin. La sua critica letteraria trasferisce dall'arte alla politica l'idea di rivoluzione: il comunismo di partito è infatti antianarchico, preferisce il realismo al formalismo, l'epica corale alla lirica individualista. Solo a nominarli questi problemi fanno l'impressione di residuati bellici. L'idea di rivoluzione politica (nazionale o di classe) è diventata anche nel suo rapporto con le arti, improvvisamente impensabile dopo gli abusi verbalistici degli anni Sessanta. L'esercizio pubblico della ragione critica oggi divora se stesso nel vortice dei media di massa sempre più veloci e sempre meno 'riflessivi'. Siamo costretti per principio a credere nell'illuminismo dell'informazione e della comunicazione, dato che la critica dell'illuminismo porterebbe a una critica della democrazia. La democrazia falsa e il falso illuminismo possiamo criticarli. Ma non ci sono alternative. [...] Da Schiller a Benjamin, la critica classica si è fondata su varie mescolanze e contaminazioni di pedagogia umanistica, rivoluzione estetica, interpretazione morale e politica dei testi, senso del presente come storia e smascheramento delel ideologie dominanti. Oggi l'esercizio della critica è ridotto a una didattica dominata da procedure burocratiche e a un'informazione libraria che occupa sui giornali uno spazio marginale. I lettori di giornali, poi, evitano le recensioni saggistiche di quindicimila battute (rare), mentre le schede di trenta righe le scorriamo con un occhio solo per farle precipitare in qualche scomparto secondario del nostro inconscio. Se ogni tanto si finisce ancora per discutere di critica letteraria è perché avvertiamo che una tradizione è finita: in Italia con Debenedetti e Fortini, in Europa con Adorno e Barthes, in America con Lionel Trilling e Leslie Fielder. [...] Calvino aveva intuito bene. Mentre lo strutturalismo svalutava i 'lettori ingenui' e pretendeva di trasformarli tutti in specialisti, Calvino ricordava che se leggere non è un'esperienza individuale, non può nemmeno diventare scienza. Così la critica letteraria si è avvicinata di nuovo al 'common reader', ha ricominciato a raccontare che cosa è stata, per chi ha letto, l'esperienza di leggere quel preciso libro in circostanze precise. Da aristotelica e neoretorica, la critica è ridiventata dialogica e socratica. E' uscita dai laboratori d'avanguardia per occuparsi del senso comune e non disprezzare più l'autobiografia intellettuale. La critica non è altro che un'intensificazione dell'esperienza di lettura e una conversazione intensificata intorno al significato e al valore dei libri. Qualche ragione c'è se gli editori preferiscono la critica scritta da intellettuali e romanzieri alla critica scritta da professori. Il critico saggista ragiona e racconta, parla come individuo ad altri individui. Il critico studioso parla ai suoi colleghi studiosi, prsenti e futuri. Si può fare l'una cosa e l'altra. Purché si sappia che cosa si sceglie, a quale scopo e per quale pubblico." (da Alfonso Berardinelli, C'era una volta il critico, "Il Sole 24 Ore Domenica", 12/10/'08)

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