mercoledì 22 ottobre 2008

Un favore personale di John Banville


"Il romanzo giallo è diventato una grande risorsa per la letteratura contemporanea: tutto sta poi nella maggiore o minore abilità della scrittura, nella convinzione del narratore, nella disponibilità del pubblico a farsi ammaliare da un genere. Nel caso di Banville le tre condizioni si verificano in positivo con una certa regolarità. Dal tempo del suo magnifico La spiegazione dei fatti le certezze di metodo e l'abilità del mestiere non sono mai mancate alle sue opere, che a questo punto si propongono con la reiterazione del personaggio chiave, che coordina la trama. Per il lettore di gialli è una sicurezza ritrovare il solito commissario o comunque un carattere già noto da cui orientarsi nella trama delle nuove avventure proposte dall'autore. E così Banville ci affida all'anatomopatologo Quirke, che aveva dominato la scena di Dove è sempre notte. Ci consegna anche allo stesso paesaggio urbano e morale, la Dublino cattolica che l'autore, diventato mi sembra a tutti gli effetti inglese, osserva con distacco, memore forse di una remota appartenenza e conscio della distanza che lo separa oggi da quel mondo. Un favore personale, il suo ultimo romanzo, si intreccia naturalmente attorno a una morte che non è quella che sembra, illumina e oscura persone che non sono quello che sembrano, inventa con piglio sicuro personalità inquiete nel cui tratteggio giocare di lima. Per lo più indugia attorno a malesseri che sono stereotipi di certa letteratura gialla, che siano il sesso, la droga, il denaro facile e la caduta inevitabile. E lascia che a condurre le danze sia l'eroe Quirke, mai veramente tale perché nel gioco entrano anche le sue ombre, la sua fragilità compromessa e l'andare a tentoni nel buio. A lui tocca l'epilogo del romanzo, come nel precedente Dove è sempre notte, in una sospensione su un futuro pieno di incertezze; ed è qui, nel non chiudere il cerchio, che si riconosce l'elemento che distingue questo universo giallo dalla tradizione alla Chandler, per esempio. Ma se il genere è noto e del resto molto ben utilizzato da Banville, vale la pena di fermarsi sulla maestria dello stile di incastro della storia, l'orchestrazione delle voci, dei punti di vista, l'attenzione al labirinto delle ipotesi che di capitolo in capitolo fa smarrire il lettore, accendendo volta a volta i riflettori su personaggi di chiara ambiguità, e qui l'ossimoro è figura retorica indispensabile a dire il metodo classico dell'autore di gialli! Anche il linguaggio del narratore ha la cadenza riconoscibile, un po' stanca e un po' sporca, identificativa del genere. Insomma Banville ne ha fatto un suo schema ben funzionante e ben oliato, che a mio parere non rappresenta il meglio dello scrittore, quanto piuttosto un esercizio su un genere e una conferma di abilità. Non ho raccontato la storia, naturalmente: quello è il terreno del lettore, che non vorrei invadere, né per togliere, né per aggiungere sorprese!" (da Marta Morazzoni, In Irlanda nulla è ciò che sembra, "TuttoLibri", "La Stampa", 18/10/'08)

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