lunedì 1 settembre 2008

"Quanti fuochi oscurati dallo Strega"


"Nell'annus mirabilis di Paolo Giordano l'editoria ha continuato imperterrita a sfornare le sue novità. Giordano vola alto, gli altri - quasi sempre - procedono in folle fino allo stop definitivo. La contraddizione in termini è ormai plateale: i giornali operano tagli alle pagine culturali, le pubblicazioni aumentano. Qualche bel libro nasce e muore senza imparare a stare al mondo. Il mea culpa è di quelli sostanziosi, ma è difficile risalire al peccato originale: in casa Mondadori, per un esordiente da sballo, si spegne un romanzo intenso e ossessivo - lampi di Simenon, volendo - come L'indecenza di Elvira Seminara. L'Italia scrive, diversifica le ispirazioni e cerca strade percorribili: alcune intenzioni sono catalogate in un'operazione di ricerca in stile Tondelli, a opera di Giulia Belloni, che dopo gli 'intemperanti' propone i Giovani cosmetici (Sartorio), dove la scrittura tutela la bellezza come valore ormai equivocato, in stile minimalista. La Belloni è coraggiosa, ma l'arte del racconto è un dono che stenta a brillare nel soffio veloce di queste pagine comunque necessarie per nuovi impegni di scrittura. Per un'antologia sparata al futuro, si consolida - in un presente ancora assai giovane - la stellina di Paolo Di Paolo, che in un romanzo molto 'francese', quasi un bignami di Truffaut - Raccontami la notte in cui sono nato (Perrone) - delinea a voce piena le coordinate di un insinuante minimalismo dei sentimenti, piovuti sulla pagina goccia a goccia, in una già nobile sapienza narrativa. Certo si scontrano, le linee della bellezza di Di Paolo e le scorribande dei western pugliesi di Omar Di Monopoli, che alla seconda prova, Ferro e fuoco (Isbn), intensifica le ispirazioni cruente e devastanti legate a un sud multietnico ma vigorosamente italico nei legami malavitosi, un territorio di carne e sangue in cui si muove il sottobosco di un'umanità precaria, a tratti bestiale. Se mancano le vere coordinate generazionali, l'ispirazione non langue, lo dimostra Alessandro De Roma, sardo-torinese trentottenne, che con La fine dei giorni (Il maestrale) ci propone una Torino a metà strada fra De Chirico e Ballard. Un romanzo complesso, a spirale, che sarebbe piaciuto a Giovanni Arpino o a Italo Cremona, con la visione apocalittica di una fine del mondo circoscritta al territorio sabaudo - quindi di per sé limitata - ma dilatabile a un contesto sociale assoluto, dove ogni certezza diventa dubbio fondamentale. Egocentrismo taumaturgico, violenza surreale ma non irreale, fantasociologia ai piedi delle Alpi: tre ispirazioni dissimili ma convincenti. La quarta va ancora oltre, con il Six Pack di Giovanni Miraglia (Arcana), che in perfetto stile anglosassone - un Hornby piuttosto su di giri - confeziona un prodotto sadico e irriverente, con la vicenda ossessiva - tragica e goliardica - di un addetto alla progettazione di gadget per ovetti e merendine, travolto da una contemporaneità fasulla e avvilente. Urticante e talvolta urtante, godibile nella sua frenesia stilistica sincopata, alla Iggy Pop, per intenderci, adorato dal protagonista, almeno per gli addominali d'acciaio. In veste altrettanto giovanilistica, con un titolo e uno sviluppo magari troppo legati al John Irving dei primi best seller, Il cosmo secondo Agnetha (Las Vegas), esordio di Daniele Vecchiotti, ci riporta a una narrativa libera, fantasiosa, in cui contano i fatti - esilaranti e deliranti - e i personaggi - estremi, improbabili - che riescono a dar vita a una lettura marginale, ma divertita, di esistenze create per acchiappare il lettore, in una scommessa a senso unico - rischiosa, ma qui ben riuscita - dell'autore con se stesso. E poi la stagione ha proposto L'uomo e il suo amore, del ventitreenne marchigiano Alcìde Pierantozzi (Rizzoli). Un romanzo - un corpo narrativo senza etichette, a tratti - in cui emerge la volontà estrema di una ricerca letteraria che nasce dalle illuminazioni filosofiche di Parmenide e si spinge nelle paludi narrative dell'ultimo Pasolini. Un'opera in itinere, tra Italia e Albania, tra donne che lasciano il segno e interrogativi mai soddisfatti sull'amore. Un libro aspro e impervio, noioso e intrigante, crudele e fagocitante. Del tutto ignorato. I padri nobili a cui Pierantozzi fa riferimento nella nota finale - il Pasolini di Petrolio e il Parise di L'odore del sangue - mossero plotoni di critici e di studiosi alla ricerca del pelo d'oro nell'uovo. Si trattava di nomi maiuscoli, certo, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Qui invece tutto tace. Forse è il momento di ammettere che è cambiato qualcosa, se la volontà di ricerca della critica si adegua ai luoghi comuni delle classifiche per definire le priorità, i valori." (da Sergio Pent, Quanti fuochi oscurati dallo Strega, "TuttoLibri", "La Stampa", 30/08/'08)

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