giovedì 25 settembre 2008

La classe di Francois Begaudeau


"Se il discorso sulla scuola ha assunto, in Italia, toni aspri e quasi vocianti, è perché parlando di scuola si parla dei giovani e dunque si evoca il futuro, che è il più disturbante dei concetti in tempi di declino sociale come questo. E poi perché la parola scuola chiama in causa un 'pacchetto di crisi' fin troppo denso: la crisi dell'autorità, quella della cultura come cardine della persona, quella degli adulti incerti depositari di ancora più incerte 'regole'. In Francia ha avuto grande successo il romanzo di un giovane insegnante, Francois Begaudeau, che ha ispirato il film vincitore della Palma d'oro 2008 a Cannes. Il titolo originale del libro è Entre les murs, dentro i muri, perfettamente indicativo dell'atmosfera claustrofobica che lo pervade. Il titolo italiano, meno severo, è La classe (Einaudi), e sembra quasi voler riportare questo desolato bestseller in una letteratura 'di genere' sulla scia fortunata del primo Starnone e dell'ultimo Pennac. Con eventuale ammicco a un sottogenere pop, quello del computo allegro degli svarioni studenteschi, tipo Io speriamo che me la cavo o il vecchio classico per ragazzi francese La fiera delle castronerie. Ma attenzione: i circa vent'anni che separano la generazione di Starnone e Pennac (diciamo, per comodità, quella 'sessantottina') da quella di Begaudeau sono un vero e proprio baratro. La scuola raccontata da Starnone e Pennac è ancora un lascito, seppure residuo, dell'umanesimo. L'ironia amara, lo sguardo smagato su ragazzi e adulti lascia ancora intatta l'illusione di un passaggio di consegne, di un apprendistato, più ancora che alla cultura, alla civiltà e forse alla vita. Leggendo Begaudeau, la sua stagnante, ossessionata trascrizione di un dialogo impossibile, ci si ritrova piuttosto immersi in una post-scuola, una scuola svuotata di sé nella quale ciascuno ha rinunciato a offrire o prendere alcunché, e insegnanti frustrati oppure inaciditi, e alunni maneschi e rincoglioniti dal consumismo, trascorrono un intero anno rimanendo fermi al punto di partenza, senza procedere di un passo verso quel percorso scolastico che, burocrazia a parte, è pur sempre la ragione di un anno di lavoro e di vita. Un anno: per un adolescente un'enormità, un tempo immenso di crescita e di occasioni, che nella scuola di Begaudeau diventa però un tempo puntiforme, una spirale viziosa che lascia ciascuna delle due parti, ragazzi e professori, nella propria inerte impotenza. [...] Insomma: un libro terribilmnete doloroso, di accurato pessimismo, con la patina di 'divertente', evocata in copertina nell'edizione italiana, che si lacera dopo poche pagine. Resta da riflettere sul grande successo, in Francia, di un romanzo così implacabile, che non lascia spiragli, non concede alibi né agli adulti né ai ragazzi, i primi visti come neghittosi sorveglianti del nulla, i secondi come insorvegliabili somari, razzisti, ottusi, consumisti bulimici, potenziali violenti che stazionano 'dentro i muri' come cavie in una gabbia, e senza neanche la discutibile soddisfazione di essere cavie di un esperimento. Perché un esperimento non c'è. [...] A me è piuttosto venuta voglia, come antidoto, di rileggere Starnone e Pennac, oppure gli interventi di Marco Lodoli su questo giornale, nei quali la percezione del disastro sociale e scolastico non è certo attenuata, ma lo sguardo di chi osserva è - non so come dirlo altrimenti - umanamente partecipe. Dev'essere una questione di generazione, Begaudeau e il suo rap disperato sono probabilmente più sintonici con i tempi, e magari i ragazzi di oggi possono davvero leggere 'divertendosi' un libro che li raffigura come ectoplasmi nevrastenici, come nullità ringhiose, e però lo fa con il ritmo giusto, riconoscibile, se posso dire: alla moda. Ma se non si riesce più a trovare, o almeno a cercare il bandolo di un significato, di un destino, di un rapporto di emulazione e sfida tra adulti e ragazzi, allora hanno ragione i vecchi reazionari quando dicono 'ci vorrebbe una bella guerra ogni tanto', a raddrizzare la gioventù, a selezionarla meglio di un sette in condotta o di una bocciatura. Ecco, La classe è un libro post-scolastico e pre-bellico: arrivato in fondo al viaggio, anzi al non viaggio, un lettore disposto al paradosso pensa che l'anno prossimo quelle truppe di giovani felpate e smidollate, per ritrovare nerbo e disciplina, e magari dotarsi di un concetto di Patria che rimedi alle vaghezze del multiculturalismo, non dovrebbero più rientrare a scuola, ma in caserma. [...]" (da Michele Serra, Una scuola a pezzi. Quei ragazzi che non hanno futuro, "La Repubblica", 25/09/'08)

Nessun commento: