lunedì 10 agosto 2009

Olive Kitteridge di Elizabeth Strout


"Ci sono degli scrittori americani che reagiscono con insofferenza al gigantismo del loro, per definizione, Grande Paese. Niente praterie sterminate e orizzonti lontani, niente megalopoli o giungle d'asfalto o mille luci, niente intrighi e delitti sensazionali, niente - soprattutto - personaggi memorabili per virtù o perversione. Per loro lo specchio dell'universo e delle umane passioni è un luogo piccolo: una comunità circoscritta a una casa, a un suburbio, a un villaggio. E' una tradizione lunga, nella letteratura d'oltreoceano, ma sempre fertile, che quest'anno ha meritato il Pulitzer a una sua molto convinta rappresentante, Elizabeth Strout. I lettori italiani la conoscono per un romanzo di qualche anno fa, Amy e Isabelle (Fazi), la storia dellas eparazione tra una madre e una figlia, grida ma soprattutto sussurri, raccontata a distanza ravvicinatissima e ambientata in una classica 'piccola città' del New England. Ora è a Crosby, nel Maine, un angolo del continente nordamericano dove tutti più o meno si conoscono e sanno tutto di tutti, che si snodano i racconti di Olive Kitteridge (la traduzione di Silvia Castoldi è scorrevole, con qualche piccolo inciampo qua e là, e curiosamente nel libro non c'è l'indice, avendo invece ogni racconto il suo titolo e ovviamente la sua pagina iniziale). La caratteristica più seducente di quest'opera di Elizabeth Strout sta nella sua struttura: ogni storia è un racconto a sé, ma è anche il capitolo di un'unica vicenda la cui protagonista è una vecchia insegnante di matematica, Olive Kitteridge appunto, che entrando e uscendo dalle pagine (di qualche storia è protagonista, in qualche altra fa un'apparizione straordinaria) trasforma i frammenti di vita che ci vengono narrati in un romanzo, il romanzo di una comunità che l'autrice considera la scena perfetta di una commedia anonima che può in ogni istante trasformarsi in una tragedia sontuosa. [...] Elizabeth Strout costruisce le storie con piccoli tocchi di vita quotidiana: una calza si smaglia, un gelato si spiaccica sulla faccia di un bambino, un uomo guida piano all'alba tra i campi per aprire la farmacia, mentre la sua nuova assistente risponde al telefono con la vocina della bambina che gioca a fare la signora grande ... Ma le sue intenzioni non sono affatto modeste, né ha in mente qualche strategia minimalista, anzi si ha l'impressione che questa americana che insegna letteratura, vive a New York, detesta la California e ha sempre nel cuore il Maine, come ha dichiarato in un'intervista dopo il Pulitzer, voglia darci una lezione e sia sottilmente polemica: un villaggio dove il tempo passa molto piano contro il mondo globalizzato dove infuria il vento della storia, un'arcaica comunità più che occidentale contro l'insinuante esotismo della provincia dell'impero e la retorica delle culture altre". (da Elisabetta Rasy, Così la prof. Olive vinse il Pulitzer, "Il Sole 24 Ore Domenica", 09/08/'09)

8 commenti:

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