Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
mercoledì 19 agosto 2009
Fernanda Pivano: da Spoon River ai Beat così ci ha fatto scoprire l'America
"Pensare che Fernanda Pivano non c'è più, che non c'è più la Nanda, come la chiamavano gli amici e chi le voleva bene, dà una strana sensazione: come se si fosse interrotto un filo diretto, un rapporto vitale e viscerale con un'esperienza, un pezzo di storia, un patrimonio letterario e culturale. Questa esperienza e questo pezzo di storia è il rapporto dell'Italia, e non solo, con la letteratura americana di mezzo secolo, che ha trovato in Fernanda Pivano l'ambasciatrice, la coprotagonista, e, per così dire, la levatrice. Perché Fernanda Pivano, che se ne è andata ieri a Milano, a novantadue anni (era nata il 18 luglio del 1917), è stata molto di più che la grande traduttrice, l'amica di tutto un mondo di letterati e di poeti, la signora che aveva conosciuto tutti e che su tutti - da Hemingway a Ginsberg, da Gregory Corso a Pavese - aveva una storia di prima mano da raccontare. E' stata la lettrice appassionata, la consigliera, la suggeritrice, l'eminenza grigia di un mondo culturale che attorno a lei e secondo i suoi consigli e le sue scoperte si è mosso per decretare notorietà e successi, linee letterarie e cose da pubblicare. [...] Ha conosciuto tutti, nella sua lunga e ricca vita, Fernanda Pivano. E troppo spesso l'aneddotica su questa vita e questi incontri ha sopraffatto e messo in ombra la vera qualità del suo lavoro, la passione onnivora per la lettura e per la lingua inglese - anzi, dovremmo dire una cosa che in teoria non esiste come tale, la lingua americana. Una lingua e una letteratura che è stato Cesare Pavese a insegnarle ad amare, mettendole in mano i testi di L'antologia di Spoon River, di Foglie d'erba e l'autobiografia di Sherwood Anderson, fino a che la ragazzina sua allieva non ha deciso, unilateralmente, di tradurre il capolavoro di Edgar Lee Masters, fino a che lui non lo ha scoperto per caso, e fino a che questa traduzione clandestina non è stata presa da Einaudi su suggerimento dello scrittore, diventando anche per l'Italia il classico che è. Fernanda Pivano era nata a Genova, da una famiglia borghese e colta, con un padre banchiere e agente di cambio dalle incerte fortune. A dodici anni la famiglia si era trasferita a Torino, lasciandole una grande nostalgia della luce e degli alberi della sua Liguria. Era carina, molto carina, la giovane Nanda, come ha continuato a essere anche nel corso del tempo, con una grazia un po' da elfo, e la curiosità di una adolescente vorace. A Torino, al Liceo D'Azeglio, ha avuto la straordinaria avventura di essere allieva di Cesare Pavese, che l'ha tirata su a dosi di Momigliano e di de Sanctis e più tardi l'ha introdotta alla letteratura americana (ma nessun amore, ci teneva a dire Fernanda, leggende, come per Hemingway), e le ha insegnato, con la matita rossa e blu in mano, quel mestiere del tradurre che lei avrebbe portato ad altissimi livelli. Nella grigia Torino degli anni di guerra è stata arrestata dalle SS, che avevano trovato nella sede della Einaudi il contratto per la traduzione di Addio alle armi - e raccontava di essere stata liberata perché li aveva imbambolati con le sue chiacchiere. Da Torino è partita, dopo la laurea (per la verità ne aveva due), con una borsa di studio alla volta degli Stati Uniti, dove il suo grand tour è stato un giro delle case degli scrittori che amava -Faulkner, Dos Passos, Hemingway, il cimitero di Edgar Lee Masters. Dall'America, con cui aprì allora un canale di amicizia e di scambio che non si è mai chiuso, è ritornata con un carico di esperienze, di contatti e di conoscenza che ha arricchito la cultura italiana del dopoguerra di voci e di presenze fondamentali. Ha creato amicizie indistruttibili con Hemingway, che di passaggio a Cortina la mandò a chiamare per conoscere la sua audace traduttrice italiana saldando così un rapporto che durerà fino alla morte di 'Papa', con Ginsberg, con Jack kerouac e tutti i ragazzi della Beat Generation, con Henry Miller, con Bukowski, con Burroughs. [...]" (da Irene Bignardi, Fernanda Pivano: da Spoon River ai Beat così ci ha fatto scoprire l'America, "La Repubblica", 19/08/'09)
Quando portò Ginsberg nei salotti di Milano
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