martedì 11 agosto 2009

Le città invisibili di Italo Calvino


"Per quanto favolosi, Bengodi e il Paese d Cuccagna non appagano pienamente le nostre fantasie sui luoghi immaginari. Ci serve qualcosa di più elettrico, nervoso. E quel qualcosa, forse, si può trovare in città. Per questo abbiamo ripreso in mano Le città invisibili di Italo Calvino: il libro in cui, a suo stesso giudizio, ha 'detto più cose'; in cui sono confluiti tutti i ragionamenti, le osservazioni e le ansie riguardo alla sua idea di letteratura. Perché la città, suggerisce nelle Lezioni americane, è il simbolo ideale della costante frizione tra il desiderio di un ordine razionale e geometrico della realtà e il caos pulviscolare che la sottende. Per dare conto di questo doppio movimento, Calvino disegna un atlante metropolitano fantastico e noi lo seguiamo stupefatti. Perché tutti quei luoghi, frutto dell'immaginazione, raccontano al contempo la nostra realtà quotidiana: raccontano la simultanea molteplicità di un mondo che ci illudiamo di conoscere e controllare per intero, mentre ci sfugge da tutte le parti, alimentando frustrazione e smarrimento. E' come se fossimo chiamati a un compito che non riusciamo ad assolvere. E proprio la metropoli è il contrassegno più puntuale di questa fatica, un caleidoscopio continuamente cangiante e infferrabile in cui si assommano e si elidono i segni più controversi, indecifrabili. Calvino ci descrive cinquantacinque possibili prototipi urbani, che scorrono davanti ai nostri occhi grazie al mirabile dialogo tra Marco Polo, viaggiatore per antonomasia, e Kublai Kan, l'imperatore che accoglie i suoi racconti. Ogni città porta il nome di una donna, e ogni città è l'incrocio tra memoria e desiderio. Zaira, più che dai suoi edifici, è connotata dal rapporto tra lo spazio e gli eventi trascorsi. Anastasia 'non fa che risvegliare i desideri uno per volta per obbligarti a soffocarli'. Armilla è una foresta di condutture d'acqua, attraversando la quale è impossibile capire se debba ancora essere ultimata o se al contrario stia andando incontro alla rovina. Valdrada è doppia: costruita sulla riva di un lago, si riflette nell'acqua in ogni minimo dettaglio. Anche Sofronia è doppia: metà permanente, l'altra transitoria. E pure Despina a suo modo lo è, perché 'si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare'. la duplicità, secondo Calvino, non è soltanto un tratto costitutivo di queste città; è qualità intrinseca all'idea di esattezza, che rappresenta uno dei suoi capisaldi letterari. E bene ce lo dimostra descrivendo l'approccio opposto dei due protagonisti del libro, Marco polo e Kublai Kan. Entrambi cercano l'esattezza: ma mentre il primo lo fa descrivendo il tumultuoso assommarsi delle più diverse e contraddittorie sensazioni, il secondo rincorre una rigida tassonomia di tutti i luoghi dell'impero. A tenere insieme questa visione antinomica dell'universo, c'è lui, l'autore, che si dibatte in tale conflitto scrivendo non a caso un libro anfibio, indefinibile. Già, che cosa stiamo leggendo: un poema in prosa? un immaginifico portolano? un apologo della post-modernità urbana? Per certo un vertiginoso gioco combinatorio, che col trascorrere delle pagine si fa (anche) angoscioso. Perché via via che cresce la ragnatela che collega tutti gli elementi messi in campo, il lettore si ritrova in quello spazio non come se fosse il ragno che l'ha creato, ma piuttosto la preda che corre il rischio di lasciarci le penne. E bene se ne accorge proprio quando 'raggiunge' Ottavia, la città-ragnatela sospesa nel vuoto. Incastonata tra due montagne, la si percorre grazie a un sistema di traversine e passerelle. Ma il suo cuore pulsante, 'invece d'elevarsi sopra, sta appeso sotto': in un groviglio senza fine di amache, girarrosti, docce, teleferiche. L'effetto di spiazzamento, peraltro, non si è ancora esaurito. Perché Calvino aggiunge: 'sospesa sull'abisso, la vita degli abitanti d'Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che pù di tanto la rete non regge'. Ed evidentemente lo sa anche il suo novello Marco Polo, sospeso a sua volta - come noi tutti - a una vita sempre più aerea, nebulosa. Dove la dimensione mentale e immaginaria del viaggio finisce per prevalere su quella fisica, sensibile. [...] Per accompagnarci in questo labirintico viaggio nell'invisibile - ecco il paradosso - lo scrittore privilegia, tra tutti i sensi, proprio la vista. Punteggiando di immagini ogni pagina, ogni paragrafo, ogni giro di frase. Invitando il lettore a vedere, o meglio ancora a stravedere, quanto gli viene raccontato. E difatti, i primi accostamenti a cui viene naturale pensare, sono di tipo extraletterario: pittura, cinema. Ma è talmente vasto l'arco storico e concettuale di riferimento, che le interpretazioni possono essere le più diverse. E tutte ugualmente plausibili. Il pittore spagnolo Pedro Cano, ad esempio, ha lavorato a lungo sulle Città invisibili e ne ha offerto una fascinosa lettura 'classica, dove la fantasia ha la meglio sul terrore e il sogno sull'incubo. Se però, sempre leggendo Calvino, il pensiero corre a certi film di fantascienza, il quadro può rovesciarsi di colpo. Forse che l'infernale Los Angelse del 2019 raffigurata nell'indimenticabile Blade Runner non potrebbe essere una parente dell'Armilla calviniana? Il vero prodigio delle Città invisibili è proprio questo: l'inesausto andirivieni che le avvolge e le accompagna. Non sarà allora che il tempo che meglio le contrassegna è il futuro anteriore? Una forma verbale quanto mai enigmatica, che indica un'esperienza a venire, come già consumata? E non è forse la nostra attuale condizione?" (da Franco Marcoaldi, L'atlante di Calvino. Se le città invisibili raccontano i nostri sogni, "La Repubblica", 11/08/'09)

Pedro Cano - Le città invisibili. Omaggio a Italo Calvino (Fondazione Del Bianco)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)