sabato 22 gennaio 2011

Visitare Auschwitz


"Perché la memoria? Perché Auschwitz? Per rispondere a questi interrogativi mai esausti, niente di più tempestivo che Visitare Auschwitz, un libro che esce da Marsilio e che nasce in forma di guida dall’officina di due studiosi e divulgatori della Shoah come Carlo Saletti e Frediano Sessi. Meno noto Saletti, anche se il suo nome corre tra i cultori della materia - da solo e in compagnia - in libri come Il cinema di fronte ad Auschwitz, La voce dei sommersi, Testimoni della catastrofe. Più noto Sessi, che ha portato in Italia per Einaudi l'edizione definitiva del Diario di Anna Frank, ha curato l'edizione del Diario di David Sierakowiak, ha pubblicato da Rizzoli un precedente e grosso «invito» ad Auschwitz, ha tradotto l'opera di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa, ha scritto per ragazzi e per adulti, ha frugato angoli bui e riposti della storia d'Italia, cercando di portare a galla una verità che sfugge a tutti gli usi meramente strumentali. E infine, lavorando perché la Shoah non venga dimenticata, si è interrogato sul valore della memoria, sulla sua natura complessa e problematica.
Il vostro è un libro che viene di lontano.
«Direi proprio di sì. Nasce da un lavoro di sei anni e da una competenza scientifica sui materiali di quello che chiamiamo complesso concentrazionario. Siamo partiti dalla consapevolezza che i viaggi della memoria puntano spesso sul sentimento, sull’empatia, ma che così facendo non raggiungono lo scopo. Non il sentimento facile, ma è la conoscenza che occorre incrementare».
In un suo resoconto risalente a tre anni fa, «Domani niente scuola, un viaggio tra gli adolescenti raccontato da un ‘’infiltrato”», Andrea Bajani iniziava così un capitolo su dei ragazzi in visita a Mauthausen: «Ho capito che un campo di sterminio nazista, in gita di classe, non si nega a nessuno».
Voi parlate di «turismo della memoria», di «turismo concentrazionario». Soltanto ad Auschwitz 1.300.000 persone l'anno. «Nonostante i tanti limiti, resta un'utilità di fondo, e la giornata della memoria vi contribuisce. Intanto perché ha favorito e favorisce la diffusione di pubblicazioni importanti anche in Italia. E poi perché ha attivato molti istituti di storia e universitari sul tema della Seconda guerra, fascismo, Olocausto (vorrei ricordare ad esempio il bellissimo Master sulla didattica della Shoah a Roma Tre diretto da David Meghnagi). Certo le ombre sono molte, perché a volte si fa di Auschwitz un luogo cerimoniale e retorico. Molti gli errori di prospettiva e diffusa l'incapacità di spingere a una riflessione sul presente».
Comunque stiano le cose, Auschwitz resta l'universo concentrazionario più significativo.
«Senza dubbio, perché racchiude in sé tutto l'universo concentrazionario: un campo di lavoro coatto (Monowitz, che era poi il campo di Primo Levi), il campo di punizione e rieducazione (Auschwitz 1), il campo di sterminio (Birkenau). E poi altri 47 sottocampi. Un'estensione di ben 40 km quadrati. Nel pensiero nazista, una vera e propria regione concentrazionaria. Ma nata per addizioni, piano piano, a poco a poco. Tutto questo dà l'idea di una mente umana del tutto normale. Non viene fuori il mostro, una facile scorciatoia che sposta Auschwitz - follia e orrore - sul piano dell’umana cattiveria. Se vedi solo il mostro, dici: com’è cattivo l'uomo. Se guardi al progresso dell’insieme ne intendi meglio la complessità».
Nelle note «sull’utilizzo del libro», voi parlate non solo di lettura lineare, ma anche di lettura rapsodica. Ciò significa che è possibile leggere anche trasversalmente?
«La prima parte ristabilisce il contesto (torno a ricordare che ciò che si vede oggi si è costruito in diversi anni). Poi viene la sezione specifica che ci permette di capire particolare per particolare quanto si vede. Ma alla fine si possono scegliere strade diverse. Noi abbiamo voluto fare il punto della ricerca a oggi mettendo a fuoco le varie letture possibili sul piano storico e archeologico. Poi, sul piano memoriale, abbiamo voluto sottolineare la necessità di ripensare Auschwitz nelle varie letture che emergono dai padiglioni nazionali».
Ad esempio?
«Ad esempio, il Belgio ha rifatto già ben tre volte il suo padiglione alla luce dei modelli di memoria e ai cambiamenti che si sono succeduti nel tempo. I padiglioni dei Paesi comunisti prima del crollo del Muro di Berlino enfatizzavano soprattutto la forza antinazista del comunismo. L'Austria si presentava come vittima del nazismo escludendo ogni intenzione collaborazionista. Per chiudere, il padiglione dell’Italia - molto lacunoso ed emozionale - non è mai stato aggiornato. Se non si tiene conto di come le memorie si sono depositate e trasformate, il rischio è di deformare la prospettiva. Non solo archeologia e storia dunque, peraltro importantissime, ma anche riflessione sulle trasformazioni della memoria».
Lei vuole dire che si può restare prigionieri della memoria?
«Certo. Così come si può essere prigionieri della retorica. La memoria diventa un abuso. Non un'elaborazione, ma la conseguenza di un discorso che nega la responsabilità. Nel capitolo “Controversie e dispute memoriali” cerchiamo di fare appunto questo: liberare la documentabilità storica da tutte le ipoteche o incrostazioni di volta in volta ideologiche, politiche, religiose».
Resta che questo vostro libro mira a essere una guida, ricco com’è di cartine, di siti, di percorsi.
«Certo. Perché un luogo diventi parlante occorre conoscere e saper vedere. Soprattutto saper vedere dove adesso c'è il vuoto, dove le macerie e le pietre non parlano. Prendiamo il bosco di betulle di Birkenau. Quello è un luogo di tranquillità e di silenzio, dove spesso gli studenti e gli insegnanti fanno una pausa. Ma i laghetti e gli stagni sono le fosse comuni degli ebrei bruciati e il bosco di betulle era il luogo di attesa dove intere famiglie di ebrei indugiavano prima del Crematorio 4 e 5. Occorre vedere anche nel vuoto e nel silenzio».
C'è una stagione più adatta per visitare Auschwitz?
«L'inverno è la stagione peggiore, perché tutto è coperto da una coltre di neve e di ghiaccio. Meglio la primavera e l'autunno».
È provocatorio se penso ancora a Bajani che scrive: «Un'oretta e mezza di genocidi, guerra, scheletri, morti ammazzati, follia omicida, e se non c'è traffico alle undici saremo a Firenze»? «Certo è molto deludente. Ma proprio per questo abbiamo scritto la guida»." (da Giovani Tesio, Turisti ad Auschwitz?, "TuttoLibri", "La Stampa", 22/01/'11)

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