mercoledì 12 gennaio 2011

La nostra seconda vita custodita dai romanzi


"I romanzi sono una seconda vita, come i sogni di cui parla il poeta francese Gérard de Nerval, i romanzi rivelano i colori e le complessità delle nostre esistenze e sono pieni di persone, facce e oggetti che sentiamo di riconoscere. Proprio come nei sogni, quando leggiamo i romanzi siamo a volte così fortemente colpiti dalla straordinaria natura delle cose che incontriamo da dimenticare dove siamo e da immaginarci in mezzo agli eventi fantastici e alle persone che vediamo. In quei momenti sentiamo che il mondo di finzione in cui ci imbattiamo e che ci fa divertire risulta più reale della realtà stessa. Che queste seconde vite ci appaiono più vere della realtà, spesso significa che scambiamo i romanzi per la vita, o almeno che li confondiamo con l’esistenza vera. Ma mai ci lamentiamo di questa illusione, di questa ingenuità. Al contrario, proprio come in alcuni sogni, vogliamo che il romanzo che stiamo leggendo prosegua e speriamo che questa seconda vita continui a evocare in noi un costante senso di realtà e di autenticità.
A dispetto di quello che sappiamo della fiction, siamo irritati e infastiditi se un romanzo non riesce a sostenere l’illusione che si tratti di una vita vera. Sogniamo supponendo che i sogni siano realtà, tale è la definizione dei sogni. E così leggiamo i romanzi supponendo che siano veri, ma da qualche parte nella nostra mente sappiamo anche che la nostra supposizione è falsa. Questo paradosso deriva dalla natura del romanzo (...).
Ricerchiamo il cuore segreto del romanzo con la massima attenzione questa è l’operazione che più di frequente compie il cervello allorché leggiamo un romanzo, a prescindere che lo faccia con ingenua consapevolezza o con sensibile ponderazione. A differenziare un romanzo da altri generi narrativi è proprio il fatto di avere un suo cuore segreto. O meglio, e più precisamente, un romanzo fa affidamento sulla nostra convinzione che vi sia un nucleo centrale che dobbiamo ricercare allorché lo leggiamo.
Di che cosa è fatto il cuore di un romanzo? Potrei rispondere di qualsiasi cosa costituisce il romanzo stesso. Tuttavia, per taluni versi, noi siamo convinti che questo cuore debba essere lontano rispetto alla superficie del romanzo, che noi seguiamo parola per parola. Immaginiamo che si trovi dunque in secondo piano, che sia invisibile, difficile da individuare, sfuggente, pressoché in movimento. (...)
Il primo elemento che distingue un romanzo da un poema epico, un romanzo cavalleresco medievale o un romanzo avventuroso tradizionale è questo concetto di cuore. I romanzi presentano personaggi di gran lunga più complessi di quelli epici; si imperniano su gente del tutto ordinaria e si interessano a tutti gli aspetti della vita di tutti i giorni. Ma queste qualità e capacità esistono grazie a un cuore, da qualche parte, sullo sfondo, e al fatto che noi li leggiamo con questo tipo di intenzionalità. Quando il romanzo ci rivela i particolari più mondani dell’esistenza e le nostre piccole fantasie, le abitudini quotidiane, gli oggetti famigliari, noi andiamo avanti avvinti dalla curiosità – anzi dall’incredulità – perché sappiamo che hanno un significato più profondo, uno scopo che si sottrae e si nasconde da qualche parte, in secondo piano. Ogni elemento di un panorama, ogni foglia, ogni fiore risultano interessanti, intriganti, perché dietro di essi deve esserci un significato nascosto.
I romanzi possono rivolgersi alla gente dell’epoca moderna, anzi a tutta l’umanità, perché sono fiction tridimensionali. Possono parlare di esperienze personali, della conoscenza che acquisiamo grazie ai nostri sensi, e al tempo stesso fornire un frammento di conoscenza, un’intuizione, una chiave di lettura di qualcosa di più profondo, in altri termini il cuore oppure quello che Tolstoj avrebbe chiamato il significato della vita, quel luogo difficile da raggiungere ma che ottimisticamente pensiamo esistere. Il sogno di raggiungere la conoscenza più profonda, recondita e nascosta del mondo e della vita senza dover affrontare tutte le difficoltà della filosofia o le pressioni sociali della religione – facendolo partire dalla nostra esperienza personale e utilizzando il nostro intelletto – è un genere di speranza molto egualitario e democratico.
È stato con grande intensità e con questo particolare tipo di speranza che ho letto romanzi tra i miei diciotto anni e i trenta. Ogni romanzo che leggevo – seduto quasi in trance nella mia camera a Istanbul – mi svelava un universo importante dal punto di vista dei particolari della vita quanto un’enciclopedia o un museo, profondamente ricco da un punto di vista umano quanto la mia stessa esistenza: pieno di domande, consolazioni, e promesse paragonabili per la loro intensità e vastità soltanto a quelle caratteristiche della filosofia e della religione. Ho letto romanzi quasi in sogno, dimenticando ogni altra cosa, per acquisire conoscenza del mondo, per costruire me stesso, per plasmare la mia anima.
E. M. Forster, che apparirà ogni tanto in queste conferenze, in Aspects of the Novel dice che “l’ultimo banco di prova di un romanzo è il nostro attaccamento a esso”. Il valore di un romanzo, per me, sta tutto nella sua capacità di sollecitare la ricerca del suo cuore, che possiamo oltretutto proiettare ingenuamente sul mondo. In termini più semplici: la misura reale del valore di un romanzo risiede nella sua capacità di evocare la sensazione che la vita sia proprio e esattamente così. I romanzi devono entrare in sintonia con le nostre idee di base concernenti la vita e devono essere letti con l’aspettativa che lo facciano.
A causa della loro struttura, che ben si presta alla ricerca e alla scoperta di un significato nascosto o di un valore perduto, il genere di romanzo che meglio si adatta per spirito e forma all’arte narrativa è quello che i tedeschi chiamano Bildungsroman, ovvero “romanzo di formazione”, nel quale si racconta la crescita, la formazione e la maturazione di giovani protagonisti nel momento in cui fanno conoscenza e esperienza del mondo. Nella mia giovinezza mi sono preparato leggendo libri di questo tipo (come L’educazione sentimentale di Flaubert, La montagna incantata di Mann). Poco alla volta ho iniziato a scoprire la conoscenza basilare che il cuore del romanzo presentava, ad avere comprensione di quale genere di posto sia il mondo e quale la natura della vita, non soltanto nel suo centro, ma in tutto il romanzo. Ciò dipende forse dal fatto che ciascuna frase di un buon romanzo è in grado di evocare in noi un senso del sapere profondo ed essenziale di ciò che significa vivere in questo mondo e di quale sia la natura di questo significato. Ho imparato anche che il nostro viaggio in questo mondo, la vita che trascorriamo in città, strade, case, stanze e nella natura non è nient’altro che la ricerca di un significato segreto che può esistere tanto quanto non esistere.
Nel corso delle nostre chiacchierate, indagheremo in che modo un romanzo può sostenere tutto questo peso. Proprio come i lettori che leggono un romanzo ne cercano il cuore, o come i giovani e ingenui protagonisti di un Bildungsroman ricercano il significato della vita con curiosità, sincerità e fiducia, così noi cercheremo di procedere verso il centro dell'arte del romanzo. Il panorama vasto nel quale ci muoveremo ci porterà allo scrittore, alla sua idea di fiction e di fantasia, ai perosnaggi dei romanzi, alla trama narrativa, al problema del tempo, agli oggetti, al vedere le cose, ai musei e a luoghi che non siamo in grado ancora di anticipare - proprio come in un vero romanzo, forse." (da Orhan Pamuk, Come si legge un romanzo. Epica, fantasia e cuore la magnifica illusione di una seconda vita, "La Repubblica", 11/01/'11; The Naive and the Sentimental Novelist, Harvard University Press, trad. di Anna Bissanti)

Pamuk nel catalogo Einaudi

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