sabato 15 gennaio 2011

Diaro di lettura: Stefano Benni


"A domanda non risponde, ed è un’omissione sacrosanta. Se dovesse proprio scegliere, con la classica e rozza pistola alla tempia, continuerebbe a leggere oppure a scrivere? «Cercherei di scappare». Fuga inutile, grazie al cielo, perché lettura e scrittura sono inestricabili. Ma per ciascuno lo sono in maniera diversa. Di Stefano Benni sta per uscire da Feltrinelli Le Beatrici, otto monologhi al femminile.
Quelle voci da dove vengono? «La molla per Le Beatrici non è scattata con i libri, ma a teatro. Ho visto tante attrici giovani di talento, e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa per loro. Ci ho provato».
Mentre scriveva leggeva qualcosa? «Sì, intanto ho letto Cechov, perché ritengo che sia un grande creatore di personaggi femminili. Poi la vita di Beatrice, in un vecchio volumetto, e Dondolo di Beckett, mentre scrivevo Vecchiaccia».
Vecchiaccia è uno dei monologhi? «È un monologo diverso dagli altri, dura cinquanta minuti, poi ho visto Anita Caprioli e mi ha incantato. Andrà in scena presto, ma non vi dico cos’è, tenetevi la curiosità».
Per il teatro si scrive «insieme» a qualcuno. Esiste una dimensione condivisa anche per la lettura? Quanto parla di libri con gli altri, quanto contano gli amici per Benni lettore? «A teatro si lavora insieme con gli attori e le attrici. Lì ci si scontra e ci si trasforma, è bello. La lettura invece per me è quasi un istinto, puoi consigliarmi cento volte un libro e io non ti ascolto. Certo, se un libro piace a Fofi mi solletica, se piace a Citati un po’ di meno. Con stima per tutti e due, ovviamente».
Se è un istinto, non si può insegnare a leggere. «Non so se si possa insegnare a
leggere. Il talento è unicità. Se a scuola ci sono trenta alunni, non voglio che scrivano nello stesso modo,ma in modo diverso e speciale. Il talento va stimolato, incoraggiato, corretto. Forse questo è insegnare, ma preferisco la parola contagiare. Di una bellissima malattia».
Di questi tempi, molti credono in effetti che leggere sia una malattia. E considerano la cultura una patologia, forse un pericolo, roba per inetti e snob. Se il clima è questo, guardando il telegiornale - con quella pletora di briganti, imbroglioni e prostitute, tutto un mondo fatto solo di soldi e di sesso e di ingordigia - pensa mai che la lettura non ha proprio niente a che fare con tutto ciò? Ma allora, leggere che cos’è: un privilegio, qualcosa di obsoleto, l’unica salvezza, una perdita di tempo? «No, non mi capita. Non guardo quasi mai la televisione, ma non è una questione politica. È una questione didattica: non ci trovo niente da imparare, con l’eccezione dei documentari sui castori, eccetera. Leggere si sceglie, non ci sono le risate registrate mentre leggi un libro comico. Chi dice che leggere è snob, si è già arreso. E poi Internet è un grande mezzo per comunicare. Non amo tutto del Web, ma in dieci anni ha fatto invecchiare la televisione di dieci secoli».
Cos’è più fastidioso, la retorica sulla lettura o il catastrofismo sulla fine del libro e della lettura? «Entrambi micidiali, annoiano tutti e due. Il libro è morto, dice il critico, poi ne scrive tre di fila».
Ma Benni è un lettore in servizio permanente, oppure ci sono stati periodi durante i quali non ha letto nulla? Leggere è collegato, e come, ai momenti della vita - amori e dolori, per dire gli estremi, avvicinano o allontanano dal gesto della lettura? O non c’è nesso? «Nessun nesso. Ho scritto libri allegri in tempi tristi e viceversa. E anche il lettore più triste incontra magari un libro di Queneau, e ride. È un
mistero, è l’incontro di due libere immaginazioni, bello perché imprevedibile».
Che cosa ricorda, dei libri che legge? E che cosa invece dimentica? «Quando rileggo, e rileggo spesso, appaiono cose nuove nello stesso libro. Non erano dimenticate, erano solo in un’altra biblioteca della mia testa. Il cappotto di Gogol’ letto venti anni fa, mi era sembrato una bizzarria, un minuetto. Ora lo ho trovato crudele, spietato. Forse perché personaggi come Akakievic esistono più che mai, sfruttati, licenziati, buttati via, ritenuti inutili. Il cappotto è stato scritto oggi».
A proposito del tempo: il furore delle letture adolescenziali si perde per sempre, si trasforma, ogni tanto ritorna? «Sì, ogni tanto ritorna. In estate ho avuto un attacco d’amore per i russi. Cechov e Gogol’, la Achmatova, Majakovskij. Non so perché».
L’ultimo libro che l’ha fatta ridere, o piangere. «Il giocatore di Dostoevskij. La figura della nonna che si rovina alla roulette è un capolavoro di
umorismo tragico».
Che cosa rileggerebbe sempre? «Una foto che ho sul comodino. E Edgar Allan Poe».
Che cosa invece non leggerebbe mai? «No, non escludo nulla a priori, tutto può interessarmi. La Gazzetta dello Sport, ad esempio, è la mia prima lettura
mattutina».
Quotidiani sportivi a parte, parla della lettura come di qualcosa di attivo, e creativo. Ma esistono libri talmente piatti, opachi, che nessun lettore può trasformarli? «No. Credo che anche il libro più brutto e mal scritto, abbia sempre un lettore che lo amerà. Come nella vita, tutti possono innamorarsi di una megera e di un cretino. Se poi pensiamo alla politica ...».
Preferirei di no, come diceva «Bartleby lo scrivano». Che cosa se ne fa, dei libri che non vuole più in casa? «Non do mai via i libri. Li presto, e spesso non tornano».
Anche i suoi viaggiano. Che effetto le fa leggere Stefano Benni in lituano, macedone, norvegese, eccetera? «Godo da matti, mi sembra impossibile. Tengo tutte le edizioni estere in uno scaffale, e le esibisco con vanità».
Se va a Stoccolma, si porta dietro un romanzo svedese? E legge un libro sulla camorra o sulla privatizzazione dell’acqua, se di questi temi parlano i giornali? In qualche modo l'attualità, pubblica e privata, «sceglie» i libri da leggere? «Spesso mi documento a modo mio. Se devo mettere in un libro una zuppa di funghi pregiati, mi vado a leggere un libro sui funghi. Così è nato un mio racconto su due cuochi, Sofronia e Rasputin, ho letto un sacco di ricette».
Ma ... «So cosa vuole chiedermi: poi ti metti ai fornelli? No. Montalbán, che era un gourmet e una persona deliziosa, mi fece mangiare una zuppa di mare scritta in un libro. Pensi se la invitasse a cena Rabelais!»." (da Giovanna Zucconi, “La vita non è rosea? E io rido con Queneau”, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/01/'11)

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