sabato 1 gennaio 2011

Bright Star


"Giuseppe Tomasi di Lampedusa divideva gli scrittori più amati in due categorie. In un gruppo inseriva Omero, Dante, Shakespeare, Cervantes, Tolstoj e pochi altri, considerati «creatori del mondo» e quindi degli «dei». In un elenco diverso collocava gli «angeli», élite in qualche modo superiore, e spiegava che per rientrarvi «bisogna morire molto giovani, o giovanissimi cessare qualunque attività artistica ... bisogna che questa attività sia di valore supremo ... bisogna insomma che la loro apparizione sia fulgida e brevissima, così da darci la sensazione di un visitatore superumano che durante un istante ci abbia guardato, e sia dopo tornato ai suoi cieli, lasciandoci doni di qualità divina e un amaro rimpianto per la fugacità della sua apparizione». In quella lista, «splendente di gioia e per noi di lacrime», attribuiva «il posto supremo a John Keats», di tutti «il solo assolutamente puro».
Questo giudizio dell’autore del Gattopardo, che fu un notevole studioso di letteratura europea, coincide con il senso di perdita sofferto da coloro che avevano conosciuto Keats. Uno fu Byron, a costo di smentire se stesso. Ma anche Shelley e tanti altri si inchinarono «al suo genio» e Wilde lo fece concretamente, distendendosi sulla sua tomba, a Roma, in un gesto di venerazione. Molti scorsero nella sua parabola umana e poetica un’aura miracolosa, come quella che circonda i profeti e i mistici, e certi (rari) poeti. E tutti hanno definito i suoi versi tra i più «vicini al divino» mai composti in lingua inglese. Secondi solo alle liriche di Shakespeare. Per sincerarsene, bastano il respiro classico e la musicalità delle odi All’usignolo, All’autunno, Sull’urna greca, Alla melanconia.
Storia apparentemente senza storia, la sua. In realtà in ogni senso speciale e che viene riproposta da Bright Star. La vita autentica di John Keats (Fazi), di Elido Fazi, editore che coltiva il mito di questo ancora modernissimo talento. Qui raccontato con un testo a più livelli di lettura poiché è, insieme, epistolario, diario, ritratto intimo e infine romanzo concentrato sul periodo che precede la scomparsa di Keats, ad appena ventisei anni. Un’esistenza segnata da sciagure e difficoltà che subito affinano ed esasperano la sua energia emotiva, generosa e carica d’immaginazione. Figlio di un bottegaio di Finsbury, a nove anni perde il padre, a quindici la madre e poi, uno dopo l’altro, i fratelli finché, mentre sta avviandosi alla professione medica, scopre la propria vocazione traducendo l’Eneide e leggendo Omero e Spencer.
Ha deciso: «La poesia è ciò per cui vivo», scrive, e sarà dunque un poeta. Anzi, lo è già. In modo naturale e non assimilabile ai modelli del tempo: non un bardo manierista accreditato alle corti del potere né un dandy alla moda; non un egotista eccentrico né un preromantico incline a singhiozzi e ansie suicide, come alcuni poi pretenderanno.
Il racconto di Fazi - che ha anticipato il film di Jane Campion e che è uno dei libri che resteranno di questo 2010 - scava su aspetti decisivi per approfondire i processi creativi che ispirarono l’opera di questo «angelo» inglese. Ad esempio quando Keats pensa alla poesia come privilegio doloroso perché conduce a spietate autoanalisi e consuma. O quando riflette sulla inconsolabilità delle dottrine filosofiche e politiche (ma pure della religione), ciò che lo spinge su posizioni radicaleggianti e su basi etiche allora borderline, di antimperialismo e antimilitarismo. O quando alza il velo sul conformismo dei salotti editoriali, letterari e dei critici (opinioni perfette ancora adesso).
Keats è innamorato dell’amore e della bellezza con una fede tale da far pensare ai casti impulsi sentimentali di Pessoa («tutti gli amanti si sono baciati nella mia anima») e allo stupore di Pound nella Litania notturna a Venezia. Commovente, da stringere il cuore. Come nelle pagine sul fidanzamento - tormentato e segreto perché lui è troppo povero - con Fanny Brawne, diciottenne ingenua e frivola che lo ha «completamente assorbito».
È Fanny la bright star, la fulgida stella che lo ha abbagliato e di cui forse crede di sentire il respiro quando il respiro viene meno a lui, il 21 ottobre 1821, a Roma, dov’era arrivato sperando di guarire e dove invece la tubercolosi lo stronca. Le sue lettere saranno sepolte con lui e con il suo mistero. Aveva detto: «Bellezza è verità, verità è bellezza. Questo solo sulla terra sapete, ed è quanto basta»." (da Breda, La fulgida stella che incantò Keats, "Corriere della Sera", 30/12/'10)

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