martedì 2 novembre 2010

Peggio della guerra


"«Harry Truman, 33˚ presidente degli Stati Uniti, era un assassino di massa. Ordinò per due volte di sganciare ordigni nucleari sulle città del Giappone. Il primo esplose su Hiroshima il 6 agosto 1945, il secondo su Nagasaki il 9 agosto». Inizia così Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia dell’umanità, il nuovo, provocatorio libro di Daniel Goldhagen, l’autore che ha ottenuto fama internazionale con due saggi particolarmente polemici sulla Shoah: I volonterosi carnefici di Hitler e Una questione morale: la Chiesa cattolica e l’Olocausto.
«Ho esordito accusando l’America di genocidio per dimostrare che, in qualità di storico statunitense, la nazionalità non influenza il rigore della mia ricerca», spiega l’autore, ex docente ad Harvard, «la mia indagine non risparmia nessuno». Nell’ultimo, voluminoso saggio appena pubblicato in Italia da Mondadori, Goldhagen lancia un accorato j’accuse al mondo «civile» che continua ad assistere passivo alla catastrofe perpetrata ai danni di interi popoli, come se quella pratica criminale e inumana non lo riguardasse. Il Tibet, l’Armenia, la Corea del Nord, l’ex Jugoslavia, l’Iraq di Saddam Hussein, il Ruanda, il Sudan meridionale, la Repubblica democratica del Congo e il Darfur, sono tutti scenari di guerra in cui è stato usato il genocidio come deliberata strategia politica per sterminare milioni di persone. «I genocidi del XX e XXI secolo hanno mietuto oltre cento milioni di vittime», afferma l’autore, «un numero di gran lunga superiore a quello di tutte le guerre combattute nello stesso periodo».
Dietro al rigore storico, alle analisi scrupolose e a una sterminata mole di dati, da ogni pagina di Peggio della Guerra traspare l’empatia e il senso di responsabilità morale del figlio di un sopravvissuto all’Olocausto (suo padre Erich scampò per miracolo al ghetto ebraico di Czernowitz) che ha intrapreso un viaggio doloroso e personale nel cuore delle più cruente dittature per cercare di dare un senso a una follia solo all’apparenza irrazionale che ha segnato la propria storia famigliare.
La conclusione del libro stupirà molti studiosi della Shoah: anche se la tecnologia usata dai nazisti per sterminare gli ebrei era «inedita» e l’entità del loro obiettivo «senza precedenti», teorizza Goldhagen, le caratteristiche e i meccanismi dell’Olocausto sono «identici» a quelli degli altri genocidi della storia. «L’omicidio di massa non è mai un’eruzione casuale di violenza che non può essere prevenuta e spiegata», afferma, «ma piuttosto una deliberata strategia politica per concentrare e conservare il potere nei regimi non democratici, eliminando milioni di persone».
Non si tratta, insomma, di conflitti etnici «irrazionali ed emotivi», frutto di un indecifrabile e passeggero rigurgito. Goldhagen rilancia la tesi del «seguace zelante» che tanto scosse la coscienza del popolo tedesco all’uscita de I volonterosi carnefici di Hitler. «Senza criminali efferati come José Efraín Ríos Montt, Omar al-Bashir e Kim Jong-il gli stermini di massa non esisterebbero. Ma oggi, come negli anni Trenta, la mente ha bisogno del braccio, senza il quale non potrebbe esistere».
Il libro smonta la tesi de La banalità del male di Hannah Arendt, la grande filosofa ebrea d’origine tedesca secondo cui i crimini perpetrati da Eichmann — e dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili della Shoah — era dovuto non ad un’indole maligna radicata nell’anima, quanto piuttosto ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni. «Anche la Arendt non ha condotto la sua ricerca in maniera sistematica», punta il dito Goldhagen: «Ha basato il suo studio su un solo uomo, Eichmann, sostenendo erroneamente che non era antisemita».
In uno dei capitoli più drammatici del libro, un hutu del Ruanda spiega all’autore di aver sterminato tanti tutsi perché «convinto che non fossero esseri umani». «Ho raccolto infinite prove che questi giustizieri volenterosi sono certi della giustezza di ciò che fanno perché persuasi che le loro vittime meritano di morire. Solo così si può spiegare lo zelo, la passione e la crudeltà che infliggono alle loro vittime».
Ma il genocidio è solo l’aspetto più estremo di un fenomeno ben più vasto e pernicioso: l’eliminazionismo, che tra le sue spietate strategie annovera la fame, le privazioni, le espulsioni e conversioni forzate, la sterilizzazione, l’incarceramento e lo stupro. «Non avevo mai trattato quest’ultimo tema», racconta Goldhagen, che ha intervistato tante vittime di ciò che definisce «una fase sistematica del processo eliminazionista, volta a umiliare la donna e, insieme, attaccare il nucleo famigliare, distruggendo il tessuto stesso della società».
Che cosa può fare la comunità internazionale, Italia inclusa, per fermare la mattanza? «Risponderò con un’altra domanda: quante vite di un cittadino del Darfur valgono la vita di un solo italiano?». La ricetta che Goldhagen propone è commensurata all’enormità del male: abolizione delle Nazioni Unite, («proteggono i criminali di massa»), introduzione del patibolo da parte della Corte Penale Internazionale («anche se in Italia ciò non piacerà»), messa a punto di un manuale per i leader del pianeta sulle pene adottate contro chi si macchia di genocidio e infine creazione di una forza rapida d’intervento per fermare i massacri sul nascere. «Se la Nato avesse bombardato la Serbia nel ’92 invece che nel ’95», spiega, «avremmo salvato 100 mila vite bosniache».
Goldhagen sta lavorando con il gruppo Facing our history per introdurre nei licei americani un curriculum ispirato a Peggio della guerra. Il ministro dell’Istruzione inglese Michael Gove vuole introdurlo anche nelle scuole del Regno Unito e l’autore spera di poter fare lo stesso in Italia. Ma un ruolo chiave spetta ai media. «Oggi lo scandalo più idiota ottiene cento volte più attenzione del massacro di milioni di innocenti in Africa», denuncia. «Per questo l’attivismo di una celebrità compassionevole come Mia Farrow è così cruciale».
Ciò che più lo turba è l’impunita dei carnefici. In un’intervista del giugno 2008 l’autore cita José Efraín Ríos Montt, il politico guatemalteco responsabile del massacro di oltre duecentomila indiani maya all’inizio degli anni Ottanta: «Ríos Montt è ancora deputato, libero non solo di vivere come gli pare ma anche di dettar legge in Parlamento. Come possiamo vivere in un mondo dove gli Hitler di oggi continuano ad essere liberi, ricchi, onorati?».
I riflettori dovrebbero essere puntati sull’imminente referendum in Sudan che, secondo Goldhagen, rischia di portare a un nuovo genocidio nel Sud. «La comunità internazionale può fermarlo e se non lo farà, sarà costretta a rendere conto della sua ignavia». Il più negligente di tutti, a suo avviso, è il presidente americano Barack Obama. «Nonostante la sua profusa eloquenza, non ha mosso un dito in Africa. Avendo vinto il Nobel per la pace, forse dovrebbe iniziare a fare qualcosa per meritarselo». L’autore è già al lavoro sul suo prossimo libro: «Esplora il dramma dell’antisemitismo ai giorni nostri», spiega, «con un capitolo dedicato all’Italia»." (da Alessandra Farkas, Il nuovo libro di Daniel Goldhagen, I volonterosi carnefici dei genocidi, "Corriere della Sera", 01/11/'10)

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