sabato 27 novembre 2010

Dizionario della censura nel cinema


"Che ci crediate o no, la prima opera censurata, sotto l’Ancien Régime, fu la Bibbia, dato che il clero voleva esserne l’unico interprete: avere accesso al testo sacro, avrebbe consentito di contestar l’ordine costituito. Così, con una divertita ironia mai disgiunta da vis polemica s’esprime Jean-Luc Douin - firma cinematografica di Le Monde e romanziere - introducendo il proprio Dizionario della censura nel cinema.
Il notevole interesse suscitato dall’argomento è corroborato da curiosità, notizie, aneddoti, che rendono il libro gustoso (anche se non privo d’inesattezze rilevanti, aggravate da una traduzione ch’è eufemistico definire approssimativa): fa sorridere che un bacio in The Kiss (1896) fosse all’epoca considerato «bestiale» e «disgustoso» da un critico, che un’innocua scena di danza del ventre in The Serpentine Dance venisse occultata da delle strisce bianche per mascherare gli ancheggiamenti lascivi della protagonista.
La censura - annota inoltre l’autore - è versipelle: può essere emanata dall’alto (ministri) o dal basso (associazioni a difesa del buoncostume); mutila, taglia
(una frase, una scena); pone divieti (ai minori, a tutti); agisce sia prima delle riprese (in fase di sceneggiatura) che durante o dopo; sequestra, requisisce, condanna i negativi al rogo.
Con amarezza, lo storico Pascal Ory affermava «non c’è libertà di espressione, solo prove di libertà», aggiungendo poi che la libertà infinita non può esser che «d’essenza divina. Un’utopia»; di contro Théodore Schroeder, che dedicò tutta la propria esistenza al tema, sosteneva che «l’oscenità non è che una condizione dello spirito di chi legge o chi guarda».
Pur se il volume è prevedibilmente francocentrico nelle sue scelte, si occupa di molti Paesi, adoprando ad esempio Brancati per ritrarre l’asfittica temperie culturale d’Italia, nel fascismo come nel dopoguerra. Scopriamo, così, che il regime raccomandava d’ignorare «il cinema di propaganda dell’ebreo Chaplin» nel ‘41, ma che in epoca democristiana - per fare solamente un esempio - in Bellissima (1951) di Visconti veniva eliminata la battuta «chi se lo gode questo ben di Dio», poiché detta espressione era adoperata per indicare le carni rigogliose di una donna! Ed è non meno interessante notare come Philippe Sollers, nel suo L’infini (Gallimard, 1991), denunci il nuovo conformismo del «politicamente corretto», che mirerebbe in maniera indiretta ad omologare le opere d’arte, tagliando ogni guizzo.
Tornando in Italia, va sottolineata la continuità censoria: se, per dirne una, Mario Gromo - critico cinematografico de La Stampa - notava che sotto il fascismo «il delinquente è eliminato dallo schermo perché, nell’Italia fascista, la delinquenza non esiste», non si può non constatare come nel periodo 1947-1962 ben 1569 film su 5000 sian scartati, tagliati o vietati ai minori di 16 anni. E riconduce ai concetti di travisato decoro, di malintesa dignità già della dittatura il ludibrio inflitto a Totò e Carolina (1953) di Monicelli, reo di dipingere le forze dell’ordine in maniera poco rispettosa, se non di sovversione (perciò, ai lavoratori diretti a un incontro sindacale cantando Bandiera rossa, era messo in bocca un canto di origine montanara).
Coerentemente, in periodi successivi, tutti i nostri principali autori - da Fellini ad Antonioni, da Pasolini a Bertolucci - incapperanno nelle ire della censura: che, col pretesto di tutelare la morale pubblica, colpisce le idee ed il pensiero non allineato.
Ovviamente, pure all’estero l’insofferenza per il talento scomodo a volte s’è fatto sentire: basti pensare alle peripezie patite dai film di Buñuel nella Spagna franchista, o al destino subito da L’impero dei sensi di Nagisa Oshima in patria.
Insomma, la ghigliottina dell’intolleranza mai manca di sostenitori; lo dimostra, ancora una volta, Censurato! - Come ho messo il bavaglio ai comici più pericolosi d’America (Sagoma editore) in cui William G. Clotworthy - che in 42 anni di carriera ha limato infinite lingue taglienti, da Eddie Murphy a Robin Williams - narra del proprio lavoro di forbici sulla comicità in televisione, negli Usa.
Tutto fino al giorno in cui ci si deciderà a rispettare pure sull’argomento quanto esaltato dai giudici nel verdetto di Norimberga, vale a dire «il valore irrinunciabile di ogni essere umano considerato individualmente»." (da Francesco Troiano, La ghigliottina su quel ben di Dio, "TuttoLibri", "La Stampa", 27/11/'10)

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