martedì 30 novembre 2010

Carlo Dossi, Note azzurre


"Carlo Alberto Pisani Dossi: due nomi, due cognomi, ma una sola persona. Davvero? Intanto questo scrittore molto lombardo, che sta tra la generazione del Manzoni e quelle dei Gadda, Buzzi e Arbasino, asciuga la firma e si contenta di Carlo Dossi. Però poi scrive (1870) la Vita di Alberto Pisani, l'altra metà di se stesso o, se vogliamo, il suo doppio. Carlo Dossi avrà sempre la capacità di sdoppiarsi e moltiplicarsi: lo scrittore, precocissimo, è critico di se stesso, incline a riscrivere. Ha un gusto "fisico" per la parola: la nutre di accenti, badando al ritmo metrico, poetico della frase ed ha un gusto fortissimo per l'oggetto libro. Ne parla anche il suo alter-ego Alberto Pisani, sorpreso dal lettore mentre scarta il pacchetto che contiene le prime copie di un suo libro e subito un refuso, balzato agli occhi, quasi lo offende. Continuando con gli sdoppiamenti occorre aggiungere che lo scrittore Dossi smette ad un certo punto di scrivere e si dedica alla carriera diplomatica. Siamo grosso modo all'epoca di Crispi con il quale Dossi a lungo collabora. Nel momento di maggior tensione tra il giovane Stato italiano e la Chiesa Cattolica, Dossi, che è più o meno ateo, tiene i rapporti con il Vaticano: è un capitolo ancora po co indagato della sua attività. Al ministero degli Esteri studia anche la distribuzione degli italiani nel mondo: ne esce un volume di grandissimo interesse. In missione in Colombia, in Grecia e poi anche in Italia Dossi coltiva la sua passione per l'archeologia. Esiste una sua collezione, oggi sepolta in un museo milanese, dicono per mancanza di spazio. Torniamo al centenario che si celebra con qualche convegno e soprattutto con la riedizione delle Note azzurre finalmente integrali, presso Adelphi che già le pubblicò nel '64 a cura di Dante Isella: il grande filologo allievo di Contini che a Dossi ha dedicato una notevole parte della sua attività a cominciare dalla tesi di laurea discussa a Firenze nel '47, stampata da Ricciardi nel 1958 e ora riproposta in facsimile da Officina Libraria, con l'aggiunta di un saggio affettuoso, su Dossi e Isella di Niccolò Reverdini, che di Dossi è il bisnipote. Ancora Reverdini, nella nuova edizione delle Note Azzurre firma un documentatissimo excursus sulla storia editoriale di quest'opera straordinaria composta in quarant'anni, vero specchio di una mente curiosissima e di un'indole incontentabile. Uscì per la prima volta postuma, a cura della vedova Carlotta Borsani, nel 1912. Era una versione ridotta che giudiziosamente tralasciava le Note più spinte. Si sarebbe dovuti arrivare al secondo dopoguerra per veder cominciare il lungo travaglio della nuova edizione. Dunque Dante Isella, poco più che ventenne, sale al Dosso, la villa che Carlo Dossi ha fatto costruire quasi a picco sul lago di Como in mezzo a cipressi centenari, e lì consulta e trascrive con cura estrema i quaderni con la copertina azzurra (da lì il nome delle Note azzurre) che Carlo ha con grafia minuta messo in bella copia. Passano alcuni anni e si cerca un editore, ci si consulta anche con Benedetto Croce che fraintende e pensa di dover curare lui l'edizione e declina per via dell' età ormai avanzata. Alla fine, finanziando l'impresa la famiglia, si arriva a Ricciardi. Ma quando tutto è pronto Raffaele Mattioli, il banchiere umanista cui la Ricciardi fa capo, consulta gli avvocati e tutto viene sospeso. Si temevano cause intentate da persone ancora viventi o dagli eredi per i non pochi giudizi, diciamo così, piuttosto critici. I fogli di quella edizione rimasero in tipografia e furono poi ritirati. Si allestì un numero limitatissimo di copie ad uso privato, con la raccomandazione esplicita di non diffonderle. Contini nel tira-e-molla se ne ebbe anche a male. Ma erano così esplosive le Note azzurre? Già era ricorsa agli avvocati la vedova dello scrittore quando si era accorta che Gian Pietro Lucini, poeta e amico di famiglia, aveva trafugato materiale dagli archivi e citato Note azzurre proibite nel suo volume L'ora topica di Carlo Dossi. E gli avvocati, prudenti, avevano inviato una bella parcella dopo aver esaminato la questione e chiesto di non intentare cause che sarebbero state "la gioia dei gazzettieri". Una nota proibita, per esempio, riguardava Tommaseo e la sua abitudine di frequentare case di tolleranza, chiedendo sempre che ci fosse una candela di sego da infilare nelle terga, sennò il servizio non gli sembrava completo. Un'altra toccava delle abitudini sessuali di Vittorio Emanuele II, cui venivano frenesie improvvise e bisognava procurargli subito una donna. Ma c'erano anche espliciti attacchi a personaggi ben noti, come Fausto Maria Martini, letteratoe funzionario della Pubblica Istruzione che Dossi diceva tra i più corrotti, reo, tra l'altro, di aver nominato ispettricea Firenze una donna di facili costumi, moglie del poeta Mario Rapisardi e amante, tra gli altri, del Verga, che Dossi definisce "romanziere da dozzina". "Udii", dice un'altra nota, "accusare Manzoni di pederastia quando era giovine". In realtà il vero "scandalo" delle Note azzurre, se così si può dire, è nell'essere un'opera molto originale, uno Zibaldone lombardo nato negli anni verdi della Scapigliatura nel quale tra l'altro l'autore a lungo indaga il prediletto tema dell'umorismo, vero indicatore dell'epoca moderna, cui meditava di dedicare un saggio compiuto. Sono stato al Dosso e ho potuto vedere gli originali delle Note azzurre e l'archivio in cui Dossi stesso aveva organizzato le proprie carte, letterarie, familiari e pubbliche con ordine estremo. Visitando la grande villa, magnifica nelle sue stanze decorate e affrescate secondo il gusto del primo Novecento, uno stile floreale corretto dall'atmosfera nordica, mi è subito venuto in mente Mario Praz e il suo culto delle case. Praz al Dosso non è mai stato, ma c'era stato Savinio, quando la costruzione era ancora da ultimare e subito gli era sembrata "nelle sue colonne e nei suoi terrazzi tra gli alberi" una villa dipinta da Boecklin. Lì aveva ragionato e scherzato con Dossi, definito "un soffio d'uomo", che si paragonava ai cardi (Savinio dice carciofi) presenti un po' dovunque nelle decorazioni che, come lui, erano spinosi fuori e morbidi dentro. Sarebbe scivolato via a soli cinquantasette anni di lì a poco, colpito da ictus, lasciando a immagine di sé una casa e un archivio perfetti dove in segreto abita ancora." (da Paolo Mauri, Dossi, il libro maledetto venerato e censurato, "La Repubblica", 30/11/'10)

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