venerdì 27 febbraio 2009

La collezionista di storie di Randa Jarrar


"Nidali vorrebbe tanto vivere a Boston e girare con la chiave di casa legata al collo, come fanno i bambini da quelle parti. Del resto, mica per niente lei in America c'è nata. Però abita in Kuwait con il fratellino, la mamma pianista e il papà architetto. La mamma pianista è molto simpatica, le manca la musica visto che fa la casalinga. Baba, il papà, è un po' frustrato e non di rado pensa che le mani siano un buon modo per educare. Nidali è talmente brava a scuola che finisce nella 1X, cioè la famigerata 'classe dei secchioni': 'alla fine dell'anno avevo accumulato ventitré giorni di punizione, preso otto in tutte le materie perché studiavo dalla mattina alla sera, superato brillantemente gli esami, scritto un libriccino sui giorni di punizione, che autopubblicai grazie alla spillatrice di Baba e alla carta di Mama, e baciato Fakhr tre volte e mezzo'. Il mondo di Nidali, che ha una mamma greco egiziana e un papà palestinese, è abbastanza vario: ha amici islamici e cristiani, curdi e giapponesi, irlandesi con le lentiggini. Poi però un giorno Saddam invade il Kuwait e per lei, la sua famiglia e tanti altri, cominciano le disavventure. La famiglia di Nidali a un certo punto scappa, attraversa il deserto in macchina, arriva fino in Giordania e poi in Egitto. Nidali è un po’ frastornata, ma lo spirito di adattamento degli adolescenti, in particolare quelli svegli come lei, non va mai sottovalutato. Dopo svariate peripezie, Nidali approda in America. Ma su una casa mobile, che ci vorrà del tempo perché metta radici. La collezionista di storie (ma perché non conservare il suggestivo titolo originale: A Map of Home?) è il primo romanzo di Randa Jarrar, una giovane autrice la cui parabola di vita non è molto diversa da quella della sua protagonista: nata a Chicago nel 1978 da padre palestinese e madre greco-egiziana, dopo soli due mesi si è trasferita con la famiglia in Kuwait, fuggita in Egitto nel 1990, dopo l’invasione irachena, poi tornata negli USA , dove Randa si è laureata in Studi mediorientali. Oltre a scrivere, traduce dall'arabo. Che è certamente un aspetto significativo e non un puro dettaglio professionale. Perché dopo una partenza un po' di maniera, il libro tiene in virtù di una sua coerenza e originalità. Invece di cadere nel folklore di una narrativa etnica sulla cresta dell'onda commerciale (chissà poi quanto ancora durerà), Jarrar sceglie una strada meno convenzionale. Scrive in angloamericano, e non solo da un punto di vista strettamente linguistico. Sono piuttosto i suoi codici espressivi, i toni, il pensiero del pubblico a cui si rivolge, ad animare una storia lieve, ironica. Priva di pretese d'ordine sociale, e proprio per questo accattivante sul piano narrativo. Jarrar non è mai compiaciuta, mai retorica, proprio in virtù di questa scelta di meticciato 'spinto', anzi di osmosi con la cultura occidentale in cui è cresciuta. Il che non significa che sia un romanzo insulso, di pura divagazione, tutt'altro. Ad esempio le pagine sulla visita della famiglia ai nonni palestinesi, con gli inconvenienti di prammatica ai controlli di confine sul ponte del Giordano, sono divertenti e profonde, nella loro verità. Estranea a moventi politici, a tentazioni di colore che troppo spesso scadono nell'eccesso, la narrativa 'etnica' risulta dunque più efficace quando non teme di meticciare i propri codici. Il racconto di Randa Jarrar è autentico, in questo senso. Certo, il dato autobiografico non fatica a diventare romanzo quando, come nel suo caso, ha già tanto da raccontare. Ma c'è modo e modo di mettere la propria vita sulla pagina, e lei l'ha fatto con quell'intelligenza di cui basta un tocco per aggiustare le cose, e convincere il lettore." (da Elena Loewenthal, Saddam cambia la vita di Nidali, "TuttoLibri", "La Stampa", 21/02/'09)

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