lunedì 23 febbraio 2009

Classici dietro le quinte. Storie di libri e di editori. Da Dante a Pasolini di Giovanni Ragone


"Quanto l'editoria fosse faccenda complicata, Alessandro Manzoni lo seppe a proprie spese. E ben presto. Ma sicuramente capì anche - lui che aveva scritto, con grandi rimaneggiamenti, investendoci del suo, perdendoci ma scommettendo su se stesso, il grande bestseller italiano del primo Ottocento - come l'attività di produrre libri in grande quantità, per un pubblico che poteva cominciare a permetterseli, non fosse più roba da tipografi, come era stato per i tre secoli precedenti ma da editori autentici. Già: la sottoscrizione per i suoi Promessi Sposi (la versione 'quarantana' che siamo abituati a leggere) era andata molto male. L'opera in 118 dispense, al prezzo complessivo di 37,80 lire da rilegare in un volume di 864 pagine a fine raccolta, non 'sfonda'. I sottoscrittori sono solo 4600 e, delle 80 mila lire che ha anticipato, lo scrittore ne recupera forse la metà. Ha un concorrente inaffrontabile, col quale combatterà tutta la vita: la pirateria. Pare che delle precedenti edizioni le copie illegali vendute andassero dalle 60 mila alle 300 mila. Lo stesso Manzoni se ne lamentava in una lettera: 'Io non ho avuto che la sessantesima parte dei compratori!'. Ma anche gli editori, ai quali in futuro si affida, non sono da meno. Con Felice Le Monnier che peraltro gli pubblica le tragedie, va in causa, per un'altra edizione pirata del romanzo. Il verdetto impiegherà 16 anni ad arrivare, nel 1861, con l'Italia unita (ma già alle prese con la giustizia lenta), e Manzoni otterrà 34 mila lire. In quegli anni, dunque, la tipografia è sostituita dall'editoria industriale. E sulla scena, ormai, incombe il vero dominatore delle classifiche di fine secolo Edmondo De Amicis, che Manzoni lo ha conosciuto di sfuggita a Firenze nel 1866. De Amicis è furbo e sa di avere, dal momento in cui lo idea, un libro che andrà fortissimo. Su lui ha puntato sciur Emili Treves, il più grande editore dell'epoca. I due iniziano una storia di stoccate, lettere, ripicche e complicità che li porterà al caso editoriale del secolo. Treves sa come si fa l'editore: nelle sue riviste e in altre fa circolare il nome del libro 'che tutti gli italiani devono leggere': Cuore. L'attesa cresce, De Amicis ritarda e Treves pungola; poi la consegna, anche se ci sono problemi di ... soldi. Nel 1878 il battage è al massimo, ma il libro arriverà nella forma definitiva alla pubblicazione nel 1886! Ma è il botto: 18 mila copie in 13 giorni, 41 mila in due mesi, e su su fino al milione di copie vendute nel 1923, oltre 400 edizioni. Queste notizie - e non sono che una goccia nell'oceano di informazioni - le traiamo dallo studio originale, notevole e interessantissimo di Giovanni Ragone, Classici dietro le quinte. Storie di libri e di editori. Da Dante a Pasolini (Laterza). Si tratta, davvero, di un libro che non c'era. E bisognava farlo. Una cavalcata nella nostra storia letteraria, ma soprattutto editoriale. Ci sono, per esempio, Dante, il Canzoniere (vendutissimo per secoli ...), il Morgante del Pulci (che tutti a Firenze conoscevano a memoria), il Furioso e le sue edizioni, l'Ortis foscoliano sventurato, piratato e manomesso, l'incredibile strategia di automarketing di D'Annunzio per Il Piacere (con lo zampino sapiente, anche qui, di Treves), la storia di Gobetti, le vicissitudini con la censura fascista della raccolta Americana di Vittorini-Bompiani, per concludere con due classici contemporanei e maledetti: PPP e Luciano Bianciardi. Ragone - e i suoi giovani collaboratori - hanno fatto una fatica improba e meritoria. Intanto per raccontare con verve queste vicende libresche (e ci sono riusciti benissimo: il saggio si fa leggere con spigliatezza anche nelle parti più tecniche), poi raccogliere e selezionare un materiale enorme ma noto solo agli studiosi. E infine per trattenersi sempre dal 'giudicare' i libri - visto che già li ha giudicati la storia: qui si parla di classici e nessuno può negarlo -, ma osservarli da un punto di vista insolito: quello della 'macchina' editoriale. E per questo stride la conclusione pessimista e forse un po' di maniera del volume: detto di Bianciardi e della sua lotta contro il sistema cultural-editoriale, Ragone scrive: 'Ma il nuovo che avanza è fatto di grandi gruppi e di bestseller per lo più comprati sul mercato internazionale. Le vicende dei grandi scrittori e dei grandi editori del Novecento, fra loro intrecciate, stanno per concludersi'. Ma perché? Se c'è una cosa che questo ottimo libro dimostra è che il successo ha semmai contribuito, per i classici, alla creazione del loro status. Di certo non ha fatto male. Anzi: forse - ma questo andrebbe verificato e ce lo dirà solo il tempo, ma gettiamo il sasso ... - potremmo essere in un'epoca pronta a rovesciare il paradigma. Ho il sospetto che, dopo decenni in cui si è entrati nel canone per spinta dei critici e delle èlite intellettuali - e ci si poteva permettere di essere grandi scrittori e worst seller (come nota in un acuto articolo sull'ultimo numero di "Belfagor" Andrea Kerbaker) -, forse i rapporti sono ora invertiti. Tutto sommato l'equazione grande vendita=dubbio gusto di massa, come anche suggerisce Enzo Marigonda nel suo intervento sull'ultimo Tirature '09 (uno dei migliori numeri degli ultimi anni; Il Saggiatore), è rassicurante ma non sufficiente. A parità di qualità artistica, magari i grandi numeri commerciali servono. Shakespeare, Dante, Petrarca, Ariosto, Manzoni, etc. sono stati a loro tempo, popolarissimi. E se i classici del futuro fossero, poniamo, John Le Carré, Stephen King o J. K. Rowling? E se della letteratura italiana degli ultimi trent'anni l'unico che venisse studiato in accademia fra venti fosse ancora il solo Nome della rosa di Umberto Eco? O Camilleri, (demone) Meridiano già in vita?" (da Stefano Salis, Dove ci ha portati Cuore, "Il Sole 24 Ore Domenica", 22/02/'09)

Nessun commento: