"Fu certamente più noto per aver bruciato i libri che per averne collezionati - scrive Ryback -, e tuttavia quando morì, all’età di cinquantasei anni, ne possedeva oltre sedicimila ... Da quella fonte bevve a grandi sorsi, placando la sua insicurezza intellettuale e nutrendo le sue fanatiche ambizioni."
"Leggo il libro di Ryback La biblioteca di Hitler (Mondadori), pieno di percorsi, di allusioni, di tracce che si dovrebbero inseguire, mentre ci sono altri due libri che continuamente mi assalgono, mi chiedono di approfondire i sintomi, di riflettere ancora sugli itinerari individuati. Il primo è la Nausea, di Sartre, dove il narratore è perseguitato da un mefitico, terrificante personaggio, che chiama l’Autodidatta e dal quale vuole comunque fuggire, mentre se lo trova sempre lì, tremendo e invincibile. L’altro è Dai romantici a Hitler, un 'saggio' Einaudi di Peter Viereck, apparso da noi nel 1948. Hitler era, prima di tutto, un Autodidatta, ovvero apparteneva, con assoluta dedizione, a una delle categorie più pericolose e ingovernabili, più truci e rovinose dell’intera storia dell’umanità. Privo di maestri con cui dialogare, privo di controlli e di orientamenti, privo di consigli e di correzioni, l’Autodidatta interpreta testi, sintomi, frasi, messaggi, indicazioni sempre e solo a modo suo. Così il nazionalismo del romantico Fichte, fondato anche su pericolose considerazioni sul primato della Germania e sull’eccezionalità dei tedeschi, serve a Hitler come fondamento filosofico per garantire la missione guerresca del suo popolo. La complessità variegata del pensiero di Fichte gli sfugge completamente, così come sceglie di inseguire il grande storico romantico inglese Thomas Carlyle solo quando esalta l’inquietante volontà di dominio di Federico il Grande. Se avesse avuto un maestro, se avesse seguito un buon corso universitario su Carlyle, Hitler avrebbe potuto cogliere anche le complicate sfaccettature dell’opera dello storico che, certo, premia gli Eroi con un culto di cui il Führer diviene subito un adepto, ma, in un capolavoro come Sartor Resartus, riempie di dubbi, di ironia, di problematicità proprio quella nozione che gli era cara. Hitler legge Karl May, affascinante scrittore di avventure, mescolandolo alle teorie di Karl von Clausewitz, tanto che, nella campagna di Russia, chiede ai suoi generali, sgomenti, di seguire le impostazioni tattiche e strategiche così bene esposte da Winnetou, il guerriero indiano che domina tante pagine del romanziere. È un po’ come se ad Armando Diaz qualcuno avesse imposto di seguire le tecniche di attacco esposte da Salgari in libri come I briganti del Riff, La favorita del Mahdi, Le avventure di Testadipietra ... Il lettore autodidatta si crea una propria ermeneutica nella quale le gerarchie e i sistemi di valori sono sempre paradossali. Così il grande industriale Henry Ford - autore di un terrificante volume pieno di odio distruttivo contro l’'internazionale ebraica', un odio che si era nutrito di un falso storico, I protocolli dei savi anziani di Sion -, è forse l’ispiratore più diretto e congeniale, proprio perché, da autodidatta, Hitler è pronto a seguire solo le proprie gerarchie di valori, non quelle suggerite da maestri che non ha mai avuto. Anche il grande viaggiatore e autore di memorabili libri di esplorazione, lo svedese Sven Hedin, letto da Hitler, vale essenzialmente per certi contenuti razzisti che si trovano nei suoi libri. Purtroppo - e di questa lacuna non so darmi una ragione - non si fa cenno, nel libro di Ryback, di quella Elisabeth Marlitt, che Mosse cita invece abbondantemente nel suo L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste. Era una scrittrice di quelle che in Italia avrebbero trovato spazio nel 'rosa Salani', ma i suoi libri comunicavano a Hitler una delle sostanziali premesse di tanto
suo riflettere e agire. La Marlitt era infatti una specialista nel comporre trame in cui una eroina protagonista veniva umiliata, perseguitata, sottomessa, proprio perché era onesta, pura, coraggiosa, sapiente. Ma la fanciulla sapeva combattere fino ad ottenere ciò che le era stato tolto. Come si comprende subito, è proprio lo schema a cui Hitler si legò, dai primi discorsi nella birreria di Monaco fino alle ultime, folli lagnanze nel bunker del suicidio. La fanciulla Germania, derubata, insultata, derisa a Versailles, mapoi resa trionfante da un eroe puro e coraggioso che aveva mescolato Carlyle con la Marlitt. Da autodidatta timoroso nel contemplare i moltissimi libri della sua biblioteca, e gran lettore perfino nelle peripezie del suo treno blindato per i vari fronti in cui si battevano i suoi soldati, Hitler aveva un ex libris con l’aquila e la svastica, accumulava testi su testi, cominciava, interrompeva, faceva rilegare, comprava più copie di uno stesso titolo. E poi, con i russi nel bunker, gli americani nel rifugio alpino e altri occasionali curiosi di cimeli, moltissimo è andato disperso. Ma la Hitler Library della Library of Congress è proprio tragica, cupa, nera, torbida come si pensa debba essere la vera libreria del Führer." (da Antonio Faeti, Hitler, quanto Male fa essere un autodidatta, "TuttoLibri", "LaStampa", 14/02/'09)
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