domenica 9 dicembre 2007

Al di sotto della mischia. Satire e saggi di Piergiorgio Bellocchio

"Una giovane amica ha detto recentemente di Berardinelli e di me che siamo persone 'che vogliono essere lasciate in pace'. Questa espressione d’uso così corrente m’è sembrata straordinariamente appropriata, quasi perfetta. [...] Tenere lontane le cattive compagnie, scoraggiare associazioni, comitati, promozioni, dialoghi, istanze, sinergie, partecipazioni, tutto ciò che di vago, fastidioso e polivalente tali faccende rappresentano. Negarsi all’abuso e allo spreco. 'Essere lasciati in pace': desiderio profondo, serio proposito, la miglior condizione per lavorare al proprio talento ..."

Al di sotto della mischia. Satire e saggi di Piergiorgio Bellocchio (Scheiwiller, 2007): "È sulle parole più semplici, schiette, dal senso meno equivocabile, che lo spirito borghese ha esercitato con maggiore acribia il suo talento denigratorio, la sua vocazione punitiva. 'Uomo', anzitutto. Dal momento che i borghesi erano signori (o magari cittadini), rimanevano uomini i soli poveri. Il termine che per Shakespeare comprendeva le più nobili virtù definisce oggi gli esecutori dei lavori più pesanti e peggio pagati. Infine, sostituito anche nelle più basse operazioni dall'addetto, dall'operatore e simili, 'uomo' resta a significare nient'altro che l'astratta unità lavorativa di un'azienda o di una formazione militare" (dall'introduzione). Satire, ritratti, paesaggi di un lucido saggista capace di vedere nei vari e apparentemente eterogenei mutamenti della società italiana le costanti di un 'brutto poter che a comun danno impera'."
"[...] Non l'indignazione di uno che vorrebbe 'conservare' (verbo ampolloso e politicamente troppo inquinato) ma di uno a cui piacerebbe che qualche cosa si salvasse. Alcune, magari poche, cose minacciate, cadute in disgrazia, o già belle che liquidate dalla (in)civiltà. Si tratti di epoche storiche vilipese dalla retorica e dall'autodenigrazione nazionale, come il Risorgimento [...]. Si tratti della memoria di classi sociali svilite, quali la piccola borghesia, a cui Bellocchio - partendo da film come Il pranzo di Babette o il joyciano The Dead di John Huston - dedica uno degli interventi più belli e struggenti del libro. [...] Si batterebbe addirittura per difendere l'Altare della Patria: 'Naturalmente continua a non piacermi' ci dice 'ma sarei contrarissimo alla sua demolizione. Almeno può essere riutilizzato a un qualche uso pubblico, oggi ci fanno delle mostre. Molto peggio se al suo posto ci fosse un hotel Hilton o un mega-parking'. Tranne i due saggi più lunghi (uno dedicato al processo Sofri, l'altro a Pier Paolo Pasolini), la scrittura è aforistica, troppo ironica per consegnarsi all'elegia, la lingua attentissima ('Vale sempre quanto diceva Mallarmé, ripreso Eliot: primo dovere di chi scrive è purificare il linguaggio della tribù'), l'approccio spesso 'micrologico', interessato a dettagli, tic linguistici, eventi quotidiani (un furto in portineria, un'interferenza telefonica, un avviso condominiale, un finestrino ferroviario bloccato ...), notiziole di cronaca (balena arenata, un crocifisso bruciato in un liceo ...), tutte cose in cui può annidarsi un sintomo, una minaccia di imbarbarimento, una sparizione, una perdita di umanità. Tutte cose da ragionarci con rabbia. Roba minima tipo francobolli, refusi giornalistici, frasi fatte come: Io pago le tasse! 'Era il grido di protesta che irrompeva spontaneo dal petto del borghese quando si sentiva truffato dal disservizio ...' ricorda Bellocchio. Oggi le 'tasse' sono un mantra della sinistra: 'Combattere l'evasione'. Non sanno dire altro. La sinistra ha adottato il volto sinistro dell'esattore. Anche per questo il berlusconismo ancora paga: i comunisti non mangiano più i bambini, ma ti portano via la casa'. E adesso, Bellocchio, critico e fondatore di riviste, che legge? 'Non seguo più le novità, da molto tempo. Che so: su cinque Philip Roth che escono ne leggo magari uno, e con profitto. Le riviste? A parte Lo straniero di Fofi e Una città, fatta da un gruppo di Forlì, mi pare una stagione finita'. Non possiamo non chiedergli della tv: 'Mi divertono i Simpson e South Park, impensabili in Italia'. [...] I Quaderni piacentini andarono avanti fino ai dimenticabili Ottanta: 'Ma ormai la loro funzione di intervento e stimolo si era conclusa. La realtà era cambiata. Eravamo alle soglie del craxismo. Occorreva fare qualcosa di diverso'. Qualcosa di 'piccolo' come Diario: 'Ci accusavano tacitamente di aver fatto una rivista apolitica-antipolitica. La presero per una dismissione di responsabilità. Ma quando rileggo certe cose dei Quaderni piacentini, anche mie, mi disturba molto l'uso che si faceva del 'Noi'. Noi chi? Classe operaia? Nuova sinistra? Avanguardia? Per me era arrivato il momento di assumermi responsabilità personali'. Però Bellocchio vota ordinatamente. Nel 2006, Prodi: 'Voto con disperata disciplina. O, se vuole, con disciplinata disperazione'." (da M. Cicala, Bellocchio. Confessioni di un eretico (diperatamente) disiciplinato, "Il Venerdì di Repubblica", "La Repubblica", 21/12/'07)

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