sabato 5 febbraio 2011

Liars in Love


"Nei racconti di Richard Yates tutti i personaggi, e specialmente le donne, si stordiscono di alcol per dimenticare chi sono e con chi stanno. Inoltre tutti, e specialmente le donne, aspirano a essere artisti senza riuscirci, continuando ad affannarsi nel giustificare la propria frustrazione. Ancora: tutti, e specialmente le donne, sono genitori disadattati, ed è insidiosa la percezione dello scarto tra la vita che si fa e quella che ci si riprometteva di fare, all'interno di quel recinto asfittico e intasato da rendiconti affettivi che è la famiglia. Per non parlare del matrimonio, un territorio nel quale tutti, e specialmente le donne, viaggiano nelle sfere del mascherato e del non detto, tentando di guadagnare la traiettoria di un desiderio che si rivela implacabilmente senza fondo, oppure "recitando" l'amore per un partner che è sempre un individuo alieno, sospettoso e incapace di ascolto.
Il celebrato autore di Revolutionary Road seppe cogliere in profondità, e prevedere meglio di altri, certi vicoli ciechi dei mondi femminili di fine Novecento, con l'indefinitezza dei ruoli nella coppia e il peso di maternità scomode o inadeguate nel loro perenne ridefinirsi in situazioni socialmente e culturalmente instabili, tra collassi identitari, agiatezze di superficie, nuclei domestici travolti dai divorzi e rivoluzioni sfilacciate o perse. Con il suo acido pessimismo, Yates fu un "ingegnere demolitore della letteratura", come scrive Giorgio Vasta nella sua bella prefazione alla raccolta di short stories Bugiardi e innamorati, uscita nel 1981 col titolo Liars in Love e ora proposta per la prima volta in italiano da Minimum Fax, la sigla editoriale che più di ogni altra, in Italia, si è adoperata per diffondere le opere di questo originalissimo esponente del realismo americano di fine secolo. Dalle sette storie che compongono il libro, e che riflettono catastrofi amorose senza scampo, torna ad emergere la forza di uno scrittore modernissimo e cattivo. Cattivo per un'economia di prosa che rasenta la secchezza e per la precisione chirurgica dei suoi affondi nel disagio emozionale della "gente comune". Cattivo per la perfidia dei finali che non saziano né assolvono, e abbandonano il lettore in una strana palude di libertà sospesa, dove lo assillano inquietudini e domande. C'è il decantarsi delle speranze di Helen, la madre scultrice e divorziata al centro del primo racconto, Oh, Giuseppe, sono tanto stanca, affidato al flusso narrativo di suo figlio. Legata a un avvenente signore inglese di mezza età che si risolverà presto a piantarla, la donna, artefice di banalissime statue da giardino, si trova a scolpire la testa del neoeletto presidente Roosevelt, e questa sua grande occasione sfocia nel disastro, attraversato sempre col bicchiere in mano. C'è Bill, voce scandita in prima persona di Saluti a casa, che convive con la mamma ubriacona e troppo bisognosa di supporti. Lui, che si presume scrittore (ma anche stavolta è un' utopia), si unisce alla rossa Eileen per sottrarsi a quel fardello: «Magari non era amore, ma nessuno dei due avrebbero potuto persuadersi del contrario perché continuavamo a ripeterci a vicenda, e a noi stessi, che lo era». C'è Susan, protagonista di Una ragazza naturale, che un po' per indispettire l' adorante padre sposa il suo professore molto più vecchio di lei, e dopo qualche anno lo lascia dicendogli che «non si smette di amare per un motivo, così come non si ama per un motivo». Ci sono Warren e Carol, i coniugi insensati che nel racconto Bugiardi e innamorati a un tratto si separano, e lui si lega quasi incidentalmente alla giovane prostituta Christine, sempre sospinto dagli accadimenti esterni e senza mai decidere nulla per davvero. C'è un'ubriachezza esistenziale keatsiana che insorge persino quando non si beve: una sorta di distacco dall'intimità degli altri, e un'inconsistenza del proprio stare al mondo, che pervadono ogni intreccio. Ci sono Elizabeth e Lucy, le due madri divorziate di Partecipare alla corsa, che al tempo della Grande Depressione vanno ad abitare insieme per abbattere i costi, ed è magistrale la cronaca dei loro spaesamenti e disamori. Molto ammirato da un'élite di estimatori che include Tennessee Williams, Raymond Carver, Kurt Vonnegut e John Updike, ma pure massacrato dalle sfortune di una vita afflitta da alcolismo, depressione, divorzi e sconfitte (lo tormentava l'esito commercialmente fallimentare dei suoi libri), Yates, nato nel 1926 e morto nel 1992, ha conquistato un trionfo postumo grazie al rilancio del suo capolavoro del '61 Revolutionary Road, che in anni recenti ha ispirato un film con la regia di Sam Mendes e due star come Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. E pare che l'idea di una trasposizione cinematografica del suo The Easter Parade (romanzo del '76 giunto in Italia solo nel 2008) attragga da tempo Woody Allen. Certo si può capire bene l'inclinazione verso l'iperrealismo minuto di Yates da parte di un regista così sottile e disincantato sui temi dell'amore e della coppia. Sedotto da Madame Bovary, che considerava il librochiave della tecnica letteraria insieme a Il grande Gatsby, questo scrittore desolato e spiazzante ha un talento unico nel riplasmare il bovarismo dentro i piccoli inferni casalinghi della middle class, incorniciata dai sobborghi metropolitani lustri e compiacenti di un'America che ha ormai ridotto in pezzi i propri sogni. Non resta che riprodursi e fingere di amarsi nel garbato dissesto dell'ipocrisia." (da Leonetta Bentivoglio, Amori e desiderio le grandi illusioni della gente comune, "La Repubblica", 05/02/'11)

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