venerdì 25 febbraio 2011

I disegni spiegano più delle parole


"A due minuti a piedi dai negozi colorati del Canal Saint-Martin, davanti alla Gare de l’Est, c’è un ex convento che il Comune di Parigi ha trasformato in residence per artisti, ricercatori, intellettuali. Manuele Fior vive qui, «grazie alla domanda presentata dal mio editore» spiega. Dal monolocale con soppalco si vede una Parigi alla moda e bohémien al punto giusto. Romantica, come lo spazio al di qua della finestra. In un angolo la chitarra, la libreria Billy e lo stereo che ora suona canzoni dei Diaframma e di Rufus Wainwright, proprio accanto al tavolo da disegno. Attaccati al muro, dei post-it disegnati durante una cena tra amici e le foto di Manuele con la fidanzata francese Anne-Lise scattate nelle macchinette del metrò. È una casa piena di grazia, dove Manuele crea fumetti che hanno appena ricevuto il più importante premio d’Europa, il «fauve d’or» del Festival internazionale di Angoulême.
Cinquemila chilometri al secondo, edito in Italia da Coconino Press, è la storia di un amore che non finisce ma neanche riesce a ricominciare, il racconto dei sentimenti incrociati dei grandi amici Piero e Nicola per Lucia, tra l’Italia, la Norvegia e l’Egitto. «Un graphic novel dove i disegni sono importanti quanto la trama - dice Fior -. Anzi, sono gli acquerelli spesso a condurre il gioco. Ogni fumettista ha un suo modo di procedere, io non scrivo mai per prima la sceneggiatura per poi illustrarla. Ho un’idea degli snodi fondamentali della storia, ma poi lascio che siano le tavole a imporre il ritmo. Certi disegni, certe espressioni dei personaggi finiscono per essere determinanti, spiegano più di molte parole. I fumetti non sono un romanzo illustrato, come diceva Hugo Pratt».
Il graphic novel come forma d’arte è stato fatto conoscere a un pubblico più vasto dal capolavoro Blankets dell’americano Craig Thompson, trentacinquenne come Fior. «Blankets ha fatto capire che l’unione di disegni e parole poteva raccontare una storia compiuta, come un film o un romanzo, ma in modo diverso. È un’altra cosa rispetto ai fumetti seriali che di solito sono di genere, polizieschi o di fantascienza ... Il fumetto autoriale può parlare di tutto, di qualsiasi aspetto della realtà, anche delle vite delle persone. Dylan Dog, Tex, Diabolik vanno benissimo, ma con i fumetti si può fare anche altro».
Manuele Fior, nato a Cesena da una famiglia friulana, padre pilota dell’aereonautica militare e madre insegnante, ha cominciato a disegnare da bambino. «Come capita a molti fumettisti è una passione che comincia presto. Disegnando Goldrake, per esempio. Ho sempre desiderato fare questo mestiere, ma naturalmente i miei premevano per un’istruzione tradizionale. Mi sono laureato in architettura a Venezia facendo un soggiorno Erasmus a Berlino, dove mi sono trasferito finita l’università. Da allora in Italia non sono più tornato».
Esiste una «generazione Erasmus»? «Sì, alla fine l’Erasmus cambia - o rovina (dice ridendo) - le vite. Si prende gusto a imparare lingue straniere mai studiate prima, a conoscere persone interessanti. Credo che ormai si sia formata una specie di strato sociale a parte, una comunità di nuovi europei che sono andati a studiare all’estero e sono stati marchiati da quell’esperienza. In Cinquemila chilometri al secondo si affaccia anche il rovescio della medaglia, il fatto di sentirsi un po’ nomadi, senza una vera appartenenza. Un po’ di identità va perduta e certe volte fa male, è il prezzo che si paga per la libertà».
Dopo Berlino, dove ha trovato subito lavoro come architetto, Manuele si è trasferito in Norvegia per stare vicino alla fidanzata di allora. Nel racconto grafico la Norvegia è il luogo dove Lucia si trasferisce dopo la fine dell’amore con Piero, che invece va in Egitto, ad Assuan, a fare l’archeologo. «Ci ho vissuto anche io - racconta Manuele - a Berlino conobbi un ricercatore che lavorava lì e gli ho chiesto di portarmi con sé, avrei pure lavato i pavimenti. Invece mi misi a fare i disegni degli scavi archeologici». Cinquemila chilometri è più o meno la distanza tra Assuan e la Norvegia e un secondo è il tempo che ci vuole - nella telefonata tra Lucia e Piero - perché la voce dell’uno arrivi all’altro. «Ma a parte i luoghi la storia non è autobiografica, preferisco personaggi inventati perché sono più libero di maltrattarli come mi pare».
Finita la relazione con la ragazza norvegese, Fior sceglie la Francia, perché il suo amico Alessandro Tota gli offre di ospitarlo per qualche tempo e perché in fondo Parigi (con Bruxelles) è il cuore del fumetto europeo. «Mi sono sentito subito a casa, un certo calore latino mi mancava. La Francia mi sembra un’Italia che funziona. Vivo qui da tre anni, c’è una comunità di disegnatori italiani piuttosto solida. Dopo la generazione di Lorenzo Mattotti, Tanino Liberatore e Igort, sono passati da Parigi o vivono ancora qui Gipi, che vinse Angoulême nel 2006, Alessandro Tota, Luigi Critone, Francesco Cattani, Piero Macola».
Che differenze ci sono con i fumettisti francesi? «Loro sono dei maestri a livello tecnico, c’è una lunga tradizione e un’editoria molto forte, basta vedere gli scaffali dedicati alle bandes dessinées in ogni libreria. Se vendere cinquemila copie in Italia è un grande successo, in Francia quella cifra di solito è il punto di partenza, la tiratura di una prima edizione. Però, secondo me, gli autori italiani sono un po’ più coraggiosi, più originali».
Seduti vicino all’angolo cottura, con un bicchiere di vino rosso di Borgogna, Fior parla della musica che lo influenza. «Mi piacciono molto le canzoni di Federico Fiumani, la semplicità delle storie che racconta mantenendo però un grande calore umano, del tutto fuori moda. Una, Elena, l’ho scelta come epigrafe di Cinquemila: "Incrociando rotaie, seduto su vagoni deserti / ho guardato il presente solcare il passato / fermandomi al vetro. E il tuo volto ha il colore / di un’estate fantasma / che hai lasciato senza fretta cadere / come un vestito ..."».
In questo periodo invece la musica nell’ex convento è classica contemporanea, Luigi Nono, György Ligeti, Krzysztof Penderecki. «Ligeti in particolare evoca paesaggi, basta chiudere gli occhi e si vedono i suoi mondi. È una musica molto visuale, non è un caso che Stanley Kubrick l’abbia usata per 2001 Odissea nello spazio. Mi piace ascoltarla mentre penso al nuovo fumetto, anche se poi devo spegnere perché non riesco a disegnare contemporaneamente». Sul tavolo ci sono appunto gli schizzi del prossimo libro, «una storia ambientata nell’Italia del 2050. Un po’ di fantascienza di anticipazione: racconto come una famiglia qualunque reagisce alla notizia che una civiltà extraterrestre ha cercato di contattare invano la nostra. Non ci sono astronavi, sono incuriosito dalla dimensione intima della storia. Come Steven Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo, che parla sì del contatto con gli alieni visto però con gli occhi di una famiglia che esplode. È il senso del sublime: una scena piccola di fronte a uno scenario immenso. Uso la fantascienza come una macchina da presa molto lontana, per parlare del quotidiano con più distacco».
Dopo i gialli, gli ocra, i blu e i viola di Cinquemila, il nuovo romanzo sarà in bianco e nero, «come le fotografie di Cindy Sherman».
Vincere il premio di Angoulême significa ristampare immediatamente il libro e potere applicare in copertina la magica fascetta che di solito fa moltiplicare le vendite. Qual è il prossimo passaggio nella carriera di un fumettista? «Per pubblicare il nuovo libro ci vorrà oltre un anno di lavoro. Poi mi piacerebbe fare un film di animazione. Ne avevamo già parlato, tempo fa, con Gipi. Gli italiani di Parigi potrebbero provarci»." (da Stefano Montefiori, I disegni spiegano più delle parole, "Corriere della Sera", 21/02/'11)

Intervista a Manuele Fior: ogni storia, ogni disegno deve avere un suo battito ("Il Sole 24 Ore")

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