Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
sabato 19 febbraio 2011
Eco, il Risorgimento e la paranoia del complotto
"Pubblichiamo parte dell'intervista a Umberto Eco che comparirà in video sul nuovo sito di contenuti culturali www.doppiozero.com online da oggi. Circa un terzo del Cimitero di Praga, che copre un arco temporale che va dal 1830 al 1897, è dedicato al Risorgimento; ci sono Mazzini, Garibaldi, Cavour, l'impresa dei Mille, Ippolito Nievo.
Che giudizio dai del Risorgimento? «Tutto quello che c'è sul Risorgimento nel romanzo non riguarda i fatti, ma i discorsi. Il Risorgimento è presentato, da un lato, con le parole di Abba o di Bandi, cioè quelli che ci credevano e, dall'altro, con le parole di un personaggio fittizio, l'avvocato Musumeci, che ripete praticamente quelli che erano i discorsi borbonici, e adesso su Internet i discorsi neo-borbonici. Quando qualcuno mi chiede: "Ma in questo libro qual è la tua opinione sul Risorgimento?" Rispondo: "Non ho opinioni". Non ho parlato del Risorgimento, ma dei discorsi sul Risorgimento. Così come non ho parlato né degli ebrei né degli antisemiti, ma dei discorsi dell'antisemitismo. Insomma, se il mio libro vuole dimostrare qualcosa è che la storia è creata da dei discorsi. I discorsi producono dei fatti, e a me interessavano i discorsi. Provocatoriamente, non mi interessa cosa ha fatto Garibaldi. Questo lo lascio agli storici.
Mi interessano i discorsi che sono circolati, e che circolano ancora sul Risorgimento. Che questo romanzo sia un romanzo di discorsi, per la gente è difficilissimo coglierlo. I lettori attribuiscono all'autore le opinioni dei personaggi. Ho visto su Internet delle proteste: "Perché Eco ha definito Nievo un moscardino?". Io ho definito Nievo un moscardino? Ma io adoro Nievo, lo ritengo un grande personaggio. È Simone Simonini, il protagonista, che, essendo un mascalzone, lo definisce un moscardino».
Nel romanzo tuttavia il Risorgimento è presentato come un complotto. Lo è stato davvero? «In un certo senso sì. Pensa il da fare che si è dato Cavour per parlare con Napoleone III, per mandargli addirittura una bella signora nel letto: la storia si ripete sempre; pensa ai doppi giochi tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi: è stato tutto un gioco di diplomazia. Certamente il Risorgimento non è un fenomeno di massa, ma questo lo sapevamo anche prima; la prova si ha con il fallimento della spedizione di Pisacane.
Sappiamo tutto dei famosi picciotti: non sono dei contadini siciliani immediatamente colpiti dalla grazia, ma dei contadini di signori e signorotti, di gattopardi che vanno ad unirsi a Garibaldi, e si portano dietro i loro dipendenti. Ecco, quindi: non essendo stato un episodio di massa, ma qualcosa di tramato a livello d'intellighenzia (tranne forse in un episodio come le Cinque Giornate di Milano), certo che ha molto del complotto».
Ma non esiste la paranoia del complotto? Tutto quello che accade è l'effetto dell'azione di pochi che operano in segreto ... «Quello che a me interessa, e ne ho fatto oggetto nel Pendolo di Foucault, è proprio la paranoia del complotto: tutto quello che avviene è agito da un centro misterioso che alle nostre spalle e a nostra insaputa muove la storia.
Questa è la paranoia del complotto. Criticare la paranoia del complotto non vuol dire che non esistano i complotti: l'uccisione di Giulio Cesare è il risultato di un complotto, tanto per citarne uno.
Ma la cosa interessante è che i complotti o riescono e vengono subito alla luce (l'uccisione di Giulio Cesare), o non riescono e vengono subito alla luce (la denuncia di Catilina da parte di Cicerone). I veri complotti lo sappiamo subito che ci sono stati. Il mito dei paranoici del complotto di solito assume l'immagine dei Templari, gente che vive attraverso i secoli e continua ad agire nel presente, in tutta la ratatouille occultistica, quella che nutre metà delle trasmissioni televisive. Oppure, che so, l'idea che non siamo soli nell'universo, il mistero di Stonehenge, Atlantide: tutto materiale che io definisco di fascismo intellettuale, e che poi, non a caso, va a nutrire quasi semprei personaggi dell'estrema destra. Quindi il complotto dei paranoici del complotto prende un po' la funzione di Dio che governa, una specie di piccolo Dio hegeliano malriuscito, che attraverso la storia determina il fato, il destino degli uomini che non possono reagire».
Saba in una delle sue Scorciatoie sostiene che l'Italia è un paese di fratricidi: qui non si uccide il Padre, e quindi non si fa la rivoluzione; ci si scanna tra fratelli. Il Risorgimento potrebbe essere un esempio di questo? «Mentre in certi paesi c'è stata la grande esperienza dell'uccisione del padre, penso alla decapitazione di Carlo I in Inghilterra o di Luigi XVI in Francia, in Italia l'uccisione del padre non c'è. Invece c'è la grande esperienza continua dell'uccisione del fratello. Questo caratterizza in parte il nostro Paese, e forse anche altri paesi, tipo i Balcani. Non caratterizza invece quelli che sono diventati stati nazionali molto presto, e che hanno imposto una forma di fratellanza. Pensa solo alle difficoltà dell'opposizione politica oggi in Italia, che è inefficace e inefficiente: i politici occupano la maggior parte del tempo a combattersi tra di loro. Siamo nel solco della più perfetta tradizione italiana: un fratricidio continuo».
Leggendo il romanzo si ha l'impressione che la Storia la facciano i servizi segreti. Era così allora nell'Ottocento e lo è anche oggi? «Volevo raccontare la storia di un signore dell'800, e man mano che la raccontavo, ero colpito da una serie di analogie con il nostro tempo. Per esempio, ho raccontato nelle lotte tra servizi segreti quello che è poi venuto fuori con Assange e WikiLeaks, mica perché sono un profeta o un genio, ma perché oggi sta avvenendo quello che succedeva già allora: vendere ai servizi segreti quello che già tutti sanno.
Ecco che quindi, mentre raccontavo quella storia là, mi accorgevo che era storia contemporanea. O forse, senza accorgermene, prendevo degli elementi di storia contemporanea, e ne attribuivo la psicologia ai miei personaggi ottocenteschi. In questo senso sì, avevo in mente certi personaggi che sono apparsi agli onori della cronaca: compromessi tra giornalismo e servizi, una storia abbastanza eterna».
Nel libro ci sono soprattutto personaggi negativi. «Tutti, solo negativi».
A parte Nievo ... «C'è Nievo e poi Joly, che sono due idealistie finiscono male perché sono due persone per bene».
Come mai? «Perché volevo scrivere un libro cattivo e disperato».
E pensi di esserci riuscito? «Be', vedo che molti lettori hanno trovato questa specie di disperazione e di pessimismo.
Forse perché l'ho scritto in un periodo storico in cui viviamo in mezzo a personaggi impresentabili, e quindi volevo raccontare la storia di personaggi impresentabili». Tuttavia i personaggi impresentabili del tuo libro sono soprattutto piccoli personaggi, non sono i grandi personaggi. Questa è la funzione del romanzo storico. Anche Renzo e Lucia sono piccoli personaggi; il romanzo storico si fa attraverso piccoli personaggi, e cerca di rappresentare i grandi eventi».
Però i piccoli personaggi del Manzoni sono positivi; nel Cimitero di Praga sono decisamente negativi, mentre i grandi personaggi tipo Cavour, Garibaldi stanno sullo sfondo ... «E quindi Manzoni andrà in paradiso, e io no!»." (da Marco Belpoliti, Eco, il Risorgimento e la paranoia del complotto, "La Repubblica", 18/02/'11)
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