mercoledì 9 luglio 2008

I grandi registi della storia del cinema di Goffredo Fofi


"Non è totalmente nuovo, I grandi registi della storia del cinema (Donzelli): il suo autore, Goffredo Fofi, aveva già dedicato all’argomento nel 1995, sempre per Donzelli, Come in uno specchio, di cui questo libro costituisce in qualche modo una versione riveduta e ampliata. Ingrandendosi vieppiù, il progetto di Fofi muta da catalogo di preferenze personali a rassegna meditata, se non esaustiva, dei registi che più hanno contribuito a dare al cinema dignità paragonabile alla letteratura o alle altre arti. Delle tante voci inedite, alcune testimoniano di come il giudizio di Fofi si sia evoluto: De Sica, ad esempio, che nel pamphlet del ‘71 Il cinema italiano: servi e padroni (Feltrinelli) era spietatamente assegnato - col suo sodale Zavattini - al capitolo 'La destra', viene ora incluso tra i massimi della settima arte. Nulla d’insondabile, in tempi di fermenti epocali il Fofi - allora assai attivo sulle pagine dei "Quaderni piacentini" e di "Ombre rosse" - considerava il cinema quale strumento d'una battaglia politica e culturale di vasto raggio; oggi, egli constata con amarezza che 'la logica della merce ha finito per dominare gli autori, i critici e il pubblico in un circuito unitario, quasi senza crepe, che vede queste entità indifferenziate, accomunate in un medesimo conformismo'. Non rimane, quindi, che ripercorrere un secolo abbondante di storia del cinema facendo il punto su quanti sembrano aver dato ad esso 'maggior dignità e maggior luce, avergli portato qualcosa che prima non c’era - una sensibilità o un modo di narrare o un’ambizione più radicali'. Spiccano non a caso, fra le new entries, i nomi di cineasti non allineati o comunque difficilmente incasellabili quali Tsai Ming-liang, David Cronenberg, David Lynch, Aki Kaurismaki: solo da opzioni oblique, sghembe, sovente surreali pare possibile inquadrare il presente in modi non ossequienti ai codici che imperano e ogni cosa controllano. Sfumata la necessità di una critica 'militante', lo sguardo di Fofi è ormai quello dello storico che si sforza di individuare il contributo delle singole personalità: salvo dedicare taluni capitoli ad argomenti specifici - le nouvelles vagues, ad esempio - che aiutano a comporre un efficace quadro d'assieme. Resta, pur nel pessimismo estremo sul presente ('il cinema è morto con la crisi del cinema di sala, con la fine del pubblico popolare'), la specificità della scrittura fofiana: il rapporto fra gli autori, le opere, il periodo in cui appaiono è tracciato con particolare attenzione, mentre la predilezione ben nota per la 'tendenziosità' fa capolino più di una volta (si veda, ad esempio, l’inserimento di Ciprì e Maresco). Di lettura godibile, a tratti appassionante, il libro è un’accidentata quanto rigorosa scorribanda proposta da uno tra i nostri intellettuali più curiosi e meno prevedibili." (da Francesco Troiano, Morto il cinema restano i registi, "TuttoLibri", "La Stampa", 05/07/'08)

Nessun commento: