sabato 12 luglio 2008

Golden gate di Vikram Seth


"Un libro sorpresa, e un regalo per il lettore che vuole calarsi in un'atmosfera diversa, scoprire un nuovo linguaggio, lasciarsi stupire. sono trecentodiciassette pagine, ma trecentodiciassette pagine in versi, organizzate in 590 sonetti, scritte sotto l'urgenza e il divertimento di testimoniare e far rivivere in forma inusuale un mondo, un'atmosfera, un momento della storia, quando tutto sembrava ancora possibile. Era il 1984 e Vikram Seth, il giovane indiano di Calcutta approdato in America, colui che sarebbe diventato il fortunato autore di Il ragazzo giusto (TEA) e più recentemente di Due vite (Longanesi), aveva appena abbandonato la sua progettata carriera di economista, aveva appena cominciato la sua carriera di scrittore con Autostop per l'Hymalaya, ed era appena stato premiato con il Thomas Cook Travel Award quando, folgorato dalla lettura di Evgenij Onegin, decise di abbandonare una strada che sembrava sicura per scrivere un romanzo in versi, sulla scia di Puskin. Lo sfondo del libro/romanzo/poema è la Bay Area, il mondo attorno a San Francisco, nell'area reaganina, con i bagliori di Silicon Valley e della cultura yuppie ma anche con la rinfrancante presenza delle università - Stanford, Berkeley - il Caffè Trieste, Sonoma Valley, Telegraph Hill, il Golden Gate del titolo, tutta la mitologia di una città meravigliosa su cui si abbatteranno negli anni a venire la tragedia di un terremoto e il dramma dell'Aids, e che allora, nel 1984, è ancora sospesa nella stupenda ingannevole fase di una grande libertà di vita. Nei suoi versi - avventurosamente e audacemente tradotti da tre scrittori, luca dresda, Christian Raimo e Veronica Raimo, qualche volta con l'avvertibile affanno di far tornare i conti di ritmo a assonanze, ma alla fine sempre restituendo l'appassionata e ironica atmosfera del testo originale - Seth intreccia la storia dell'antipatico (a me) e poco passionale yuppie, John, del ragazzo padre Phil che porta orgogliosamente la sua bisessualità, della franca e leale Jan, l'artista, dell'avvocatessa pacifista Liz, costruendo un ritratto di città che è anche una saga familiare e una cronaca del passare del tempo e dei costumi - tutto condotto con sapienza, humour, capacità di cogliere con leggerezza apparente lo Zeitgeist di quegli anni, compresa la nascente angoscia per il destino del pianeta, la paura ecologica il coming out omosessuale (e ci sono sonetti e versi bellissimi sul desiderio e l'amore di ogni tipo). Scrivere un lungo romanzo in versi (come per altro hanno fatto più recentemente anche dei bravi autori di casa nostra) può sembrare un'impresa folle e una sfida alle abitudini del pubblico. Ma superata la prima dozzina di sonetti e il senso di sconcerto iniziale, il lettore è trascinato nel meccanismo narrativo e nel ritmo dei versi, catturato dal piacere affabulatorio di Seth, sedotto dai momenti lirici toccanti del suo affresco sanfranciscano. Accanto dunque a brani alti e toccanti ('Sono anche i morti offesi da rimorso / dolore e angoscia? Noi che viviamo / aggrappati ai feticci di un discorso interrotto, del passato, perdoniamo / chi ci ha negato la sua presenza / morendo, chi ha riversato l'assenza / l'abbattimento, nella nostra storia'), ci sono descrizioni come quella di Liz ('Ventisett'anni, donna molto schietta, formosa, in un certo senso quadrata. / Dell'amore non conosce la ricetta, / o, diciamo, non l'ha ancora trovata'), dialoghi speziati, 'a parte' umoristici. Un piccolo stupore, un grande piacere." (da Irene Bignardi, San Francisco, una città in versi, "Almanacco dei libri", "La Repubblica", 12/07/'08)

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