lunedì 12 aprile 2010

Chi fabbrica la cultura di massa


"La cultura mainstream, quella che piace a tutti, è oggi soprattutto figlia delle immagini: cinema, televisione, internet, senza dimenticare la musica che è sempre più strettamente legata al mondo dell'immagine. Sono ambiti di produzione artistica largamente dominati dai modelli americani, sebbene, negli ultimi tempi, anche l'Asia o l'America Latina abbiano proposto prodotti artistici originali. In India, in Cina, in Brasile o in Giappone esiste una creatività molto interessante, con marcate coloriture locali, che riesce a far presa anche sul nostro immaginario, entrando in concorrenza con i modelli provenienti d'oltre Atlantico.
Come sostiene Frédéric Martel nel suo volume Mainstream (Flammarion), l'Europa, invece, sembra sempre meno capace di elaborare prodotti culturali in grado d'imporsi al mondo intero. Certo, la cultura europea è ancora molto presente nelle altre culture, ma si tratta quasi sempre di una presenza d'ordine storico. È più che altro l'eco di stagioni passate. Sul piano della cultura contemporanea siamo in grande ritardo. Ciò dipende dal fatto che troppo spesso la cultura europea si colloca nell'ottica della semplice imitazione dei modelli provenienti dagli Stati Uniti. Nelle capitali europee, molti film, spettacoli e fiction televisive riproducono pedissequamente le ricette dell'industria culturale americana, senza però lo stesso coraggio. Ad esempio, noi francesi abbiamo atteso anni prima di fare entrare la guerra d'Algeria nelle nostre fiction televisive, mentre gli americani non hanno avuto paura di parlare subito della guerra in Iraq. Di conseguenza, le produzioni originali americane - che, senza essere quasi mai caricaturali o gratuite, riescono sempre a proporsi come un riflesso interessante della realtà - sono per il pubblico più interessanti delle piatte imitazioni europee. C'è chi sostiene che l'Europa non sarebbe capace di produrre cultura mainstream per via di una concezione della cultura troppo elitaria e sofisticata. Io sono propenso a pensare il contrario, nel senso che proprio la crisi della nostra cultura cosiddetta alta - ad esempio, sul piano della letteratura - ostacola l'elaborazione di prodotti culturali di larga diffusione che siano vincenti. Tra cultura alta e cultura di massa c'è sempre uno scambio sotterraneo, e molto spesso la seconda si nutre della ricchezza della prima. Si pensi al successo dei gialli di Simenon o a quello del cinema italiano del dopoguerra, che ha saputo essere al contempo coltoe popolare. Un discorso che vale in parte anche per i film della nouvelle vague. In passato però la separazione tra i due ambiti non era così netta. Al funerale di Victor Hugo parteciparono centinaia di migliaia di persone. Oggi ciò sarebbe impensabile. Ancora all'inizio degli anni cinquanta un autore come Sartre aveva un grande successo popolare. Nel corso del dopoguerra, però, la divaricazione tra cultura alta e cultura bassa è andata aumentando, anche per via del crescente peso della civiltà dell'immagine e della televisione. Oggi la cultura mainstream è strettamente legata alla globalizzazione e alla rapidità degli scambi consentita dalle nuove tecnologie. L'Europa, che ha sempre inseguito l'universalismo, di fronte alla globalizzazione - che è somma di dati più che sintesi di valori - reagisce con esitazione, favorendo ripiegamenti localistici e identitari, che certo non favoriscono l'emergere di prodotti culturali capaci di diffondersi nel mondo. Prigioniera delle sue diversità nazionali, l'Europa non riesce ad esprimere una cultura comune. E' un'entità ancora incerta. Ma senza un'Europa forte, non è possibile avere una produzione culturale di rilievo. Naturalmente, non bisogna isolare la cultura dalla ricerca scientifica e dall'insegnamento, dato che tali ambiti sono sempre interconnessi. Un paese senza ricerca scientifica e con una scuola in crisi farà fatica a dare vita a una produzione artistica capace di raggiungere fruitori di tutto il mondo. Il dinamismo di una cultura è sempre globale, partendo però da ciò che essa ha di più specifico. Per diventare universali, occorre innanzitutto essere espressione del proprio luogo. Quindi, per essere originale, invece d'imitare i modelli altrui, la cultura europea dovrebbe ripartire dalle sue specificità. In fondo, gli scrittori scandinavi, che oggi sono letti in tutto il mondo, fanno proprio così." (da Marc Augé, La vecchia Europa resta indietro, ma non è colpa della cultura alta, "La Repubblica", 10/04/'10; testo raccolto da Fabio Gambaro)

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