sabato 7 novembre 2009

Romano Bilenchi, il Conservatore dell'adolescenza


"Ogni epoca scrive e aggiorna il proprio romanzo di formazione, ma l’invenzione narrativa dell’adolescenza è un archetipo, una fase simbolica primaria. Ci sono scrittori che come Bilenchi rimangono centrati su quella stagione per tutta la vita. Da Anna e Bruno a Conservatorio di Santa Teresa, ai racconti La siccità e La miseria, che a quarant’anni di distanza si chiudono con Il gelo nel trittico degli Anni impossibili, Bilenchi scrive il suo romanzo unico e continuo sull’infanzia e sull’adolescenza. E di questo grande romanzo Il gelo è miniatura perfetta, apice e colmo. Come Jerome D. Salinger e Henry Roth, che hanno fissato nella loro narrazione l’età più incerta e impossibile dell’uomo, come Elsa Morante nell’Isola di Arturo.
La scelta del racconto di formazione, di personaggi adolescenti intrappolati nella rete di un presente senza fine, assicura la libertà di continuare a essere nonostante e oltre la Storia. Questa è la prima ragione per cui leggere Bilenchi oggi, a un secolo dalla nascita, è un’esperienza sempre nuova. All’inizio degli Anni Ottanta, Bilenchi lavora al Gelo (1982) e ritorna attraverso il filtro della memoria a quel primo tempo. La lunga fedeltà a questi temi: il rapporto con la madre, la figura del nonno, l’amicizia, l’amore, la morte, l’odio, la vendetta, il paesaggio, denota il suo accentramento assoluto sull’uomo che si forma. Attraverso la lente dell’infanzia e dell’adolescenza Bilenchi coglie il flusso stesso dell’esistere, il suo eterno movimento. E al centro di questa scrittura c’è il libro-mondo Conservatorio (1940), uno dei grandi romanzi del Novecento, dove nulla veramente accade se non la vita. La narrazione viene risucchiata nel pieno dei sentimenti e delle emozioni, nella densità affettiva del racconto, in un vortice che annulla le coordinate temporali.
La seconda ragione per leggere Bilenchi è il paesaggio, centrale nella sua narrativa, paesaggio che ci viene incontro come un vero personaggio. È difficile pensare a uno scrittore che racconti più da vicino l’Italia e le sue tragedie. Bilenchi riesce a rivitalizzare elementi originari del paesaggio italiano, e la Storia, ridotta a sfondo, lascia il passo alle forme elementari e immutabili dell’esistenza: la casa, le colline, la pianura, il fiume, le crete, il campo di girasoli, la strada, il cielo stellato. Pochi libri ci costringono a un confronto tanto serrato, dove ogni luogo denota un modo d’essere e di abitare il mondo. A questa geografia memoriale si saldano i luoghi reali dell’autobiografia, e dopo Colle, Siena, cresce il ritratto di Firenze: la città aperta dei caffè e delle amicizie con Ricci, Rosai, Pratolini, Vittorini, Luzi, poi quella della guerra e della liberazione. Una Firenze buia e fangosa che si apre alla riconquista della coscienza civile negli anni del dopoguerra e del Nuovo Corriere: la città di Mario Fabiani e Giorgio La Pira, di Piero Calamandrei e Tristano Codignola, di Eugenio Garin e Ranuccio Bianchi Bandinelli.
Nei racconti di Bilenchi si fa esercizio di libertà, si allena la nostra capacità di essere e mantenersi liberi, e ieri come oggi non è cosa da poco. Ne deriva la terza motivazione di lettura, «politica» e civile: la libertà, da qualunque ideologia e dai condizionamenti della Storia.
Nel romanzo continuo di Bilenchi sull’età giovane la Storia viene apparentemente cancellata per riemergere in eventi minimi e quotidiani. Toccherà al Bottone di Stalingrado mettere in luce il fondo storico di Conservatorio, completandone il tragitto verso l’età adulta. In realtà fin dall’esordio, con Vita di Pisto, Bilenchi ha lavorato alla costruzione di un altro romanzo parallelo: il romanzo biografico e in chiaroscuro della sua generazione. Una generazione che ha attraversato tutto il Novecento: fascismo guerra resistenza, e ne è stata protagonista. Se il romanzo sull’adolescenza trova compimento nel Gelo, il romanzo di quella generazione include il tormentato Capofabbrica, il controverso Bottone di Stalingrado fino all'esito ultimo e sorprendente di Amici. Così temi e tempi storici si legano e intrecciano in un’unica ossessione: il racconto esatto del farsi di una coscienza, la chiarificazione di fatti ed eventi che concorrano alla comprensione dell’accaduto. Da una parte Bilenchi è fermo sull’età giovane, dall’altra sul fascismo e sulla resistenza: sono il chiodo fisso della sua narrazione, da cui mai si affranca e a cui sempre ritorna.
Bilenchi fu un fascista bolscevico e poi un comunista liberale (Corrado Stajano), dentro le grandi ideologie totalitarie del Novecento si mosse da uomo libero. Per tutta la vita sentì il bisogno di ripercorrere il suo apprendistato, di raccontare e testimoniare con chiarezza i fatti. Perché solo la precisione, solo il puntuale resoconto potevano spiegare la sua vicenda personale. La sua fu una lunga espiazione per quello che è stato il destino di una generazione. In mezzo ci fu il Nuovo Corriere, chiuso dal Pci nel 1956 perché schierato dalla parte degli operai polacchi insorti, prima dei moti d'Ungheria. Fu un atto di censura violento e un suicidio culturale. Non ci furono altre occasioni per Bilenchi direttore e Firenze perse con il suo più autorevole quotidiano la possibilità di rimanere capitale culturale del Paese. Uscito dal Pci nel 1957, Bilenchi rientrerà nel partito nel 1972. Nello stesso anno esce Il bottone di Stalingrado, il romanzo più dolente e più scorticato, quello che gli è costato di più.
L'ultima e quarta motivazione di lettura è la lingua, una lingua semplice e denotativa che conduce il lettore a un soffio dalle cose nominate. Lo stile semplice di Bilenchi, uno stile terso e nitido, è il risultato di un lavoro infinito che lascia in superficie una lingua magra, disossata. Eppure quello che colpisce e resta il tratto unico e distintivo di questo autore è l’assoluta coincidenza tra il suo percorso artistico e quello umano. C’è una progressiva presa di coscienza dell’uomo e dello scrittore che porta da un lato a una maggiore messa a punto linguistica e formale delle storie che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, dall’altro la maturazione politica e intellettuale rivendica in un modo altrettanto ossessivo una ridefinizione della formazione giovanile. Quella moralità che guida Bilenchi alla riscrittura continua dei suoi testi è la stessa che porrà nella stesura della sua biografia artistica e umana, Amici. Come se ripercorrere parola per parola il proprio passato potesse ancora rimettere in gioco il secolo e soprattutto ridefinire chi siamo per il nostro futuro.
Lo scandalo di Bilenchi - la sua resistente inattualità - consiste proprio nella radicalità del suo lavoro, nel suo massimalismo morale, nell'irriducibile ricerca della verità. Tutta l’opera di Bilenchi è conficcata nel cuore del Novecento senza potere essere iscritta a nessun canone rassicurante, lontana anni luce da tentazioni sperimentali o dalla neoavanguardia quanto lo fu dal neorealismo o dal romanzo borghese. È un altro Novecento. Oltre alle quattro buone (o ottime) ragioni per leggere Bilenchi, c’è ancora qualcos'altro, quello che rimane da qualunque calcolo matematico il cui risultato sia un numero periodico. Quel resto incalcolabile, impossibile, indicibile, è ciò di cui si occupa la letteratura. È la ragione ultima per cui restiamo imprigionati dentro un libro. La narrativa di Bilenchi porta inciso a fuoco questo dato e resiste nel tempo. Anche per questo continuiamo a leggere e amare i suoi libri." (da Benedetta Centovalli, Romano Bilenchi, il Conservatore dell'adolescenza, "TuttoLibri", "La Stampa", 07/11/'09)

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