sabato 18 giugno 2011

Montaigne, l'arte di vivere


"La lettura e la scrittura come antidoto all’angoscia di morte, l’autobiografia come riflessione sui limiti della condizione umana e comunicazione: questa la strategia per vivere meglio che spinse Michel Eyquem de Montaigne, tra il 1570 e il 1580, a scrivere un’opera di straordinaria modernità.
Aveva trentasette anni, faceva con poca gioia il magistrato al parlamento di Bordeaux ed era appena scampato a unincidente mortale.
Iniziato come un esercizio in cui osservare e «saggiare» se stesso con grande sincerità, «con i difetti al vivo», per lasciare un suo ritratto veritiero a parenti e amici, quel diario quotidiano lo aiutò a salvaguardare il piacere di vivere in un periodo flagellato dalle guerre di religione e dalla peste.
In effetti, destinata alla posterità, l’opera non ha smesso di essere considerata un breviario di saggezza e laicità.
Pubblicata nel 1581 col titolo Essais, ovvero Saggi, nel senso di osservazioni, assaggi, approcci, scritti secondo il corso dei pensieri e degli avvenimenti, e arricchita fino alla morte, nel 1593, descriveva Montaigne con vivacità e franchezza come un uomo comune, non troppo dotato né fisicamente né sessualmente, ma socievole, col senso dell’ironia e della moderazione, sempre pronto a sospendere il giudizio, perché «illusoria è l'idea di stabilire la verità», e a usare il dubbio come difesa dalle passioni distruttive. Il successo fu immediato e nonostante l'ostilità di Cartesio e Pascal, e la messa al bando dell’Inquisizione, da Shakespeare a Francis Bacon, da Voltaire a Sterne, Nietzsche, Joyce, Stephen Zweig, l'importanza e attualità dei Saggi non è stata scalfita. Lettore assiduo di Montaigne, Flaubert ne raccomandava la lettura addirittura come una terapia: «Ti consolerà», scriveva alla nipote; e a Louise Colet confidava di non conoscere un libro che disponesse alla serenità meglio degli Essais.
Prendendo alla lettera le raccomandazioni di Flaubert, l'inglese Sarah Bakewell ha riproposto Montaigne come un modello di How to live in una magnifica biografia appena tradotta da Fazi nella collana Campo dei fiori diretta dall’editore e da Vito Mancuso. Il titolo italiano, L'arte di vivere, è tanto accattivante quanto originale il disegno di proporre la vita di Montaigne in «una domanda e venti tentativi di risposta», come recita il sottotitolo.
In tempi di fanatismi religiosi e massacri, catastrofi naturali ed epidemie, abusi di potere, crisi di ogni tipo e smarrimenti, a giustificare il grande successo in Inghilterra e in America non sono soltanto l’invito alla moderazione e alla tolleranza, l’attenzione per la natura, per la complessità del reale e per se stessi; o il ricorso alla letture, assimilate lentamente seguendo il piacere «senz’ordine né programma», e le strategie di scantonamento dai pensieri dolorosi.
Ad affascinare il lettore, sono certamente la morale laica di Montaigne che rende «eroica» l'individualità dell’uomo comune e la sua decisa critica del senso di onnipotenza e dell’arroganza umana. Ma a catturarlo con altrettanto interesse e piacere è il procedimento con cui la Bakewell partendo in medias res, dall’incidente che spinse Montaigne a una vita nova, ne ricostruisce il vissuto più autentico e la quotidianità attingendo dagli Essais e da una vastissima documentazione con una tale padronanza da restituirli con naturalezza in un racconto con sconfinamenti appassionanti: dalla rivisitazione delle filosofie ellenistiche e delle opere, soprattutto le Historiae di Tacito e le Vitae di Plutarco, alla ricostruzione dei conflitti ideologici tra cattolici e protestanti durante le guerre di religione, dalla fortuna dei Saggi alle loro interpretazioni.
La Bakewell, insomma, coglie al vivo il pensiero di Montaigne immergendoci nell'amore per il sapere e la conoscenza di sé che gli aveva fatto ritenere perfetta l'iscrizione con cui gli Ateniesi avevano accolto Pompeo: «Tanto più sei divino, quanto più ti riconosci uomo».
Indagati con sottigliezza, gli squarci familiari e i legami affettivi scolorano rispetto a quello con Etienne de La Boétie, l'autore di Discorso sulla servitù volontaria, un intrigante pamphlet contro la tirannide appena riproposto da Chiarelettere.
«Se mi si chiede di dire perché l'amavo - confessa Montaigne, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: perché era lui, perché ero io».
Amicizia spirituale alimentata dalla stessa passione umanistica per le opere morali e i classici, o omosessualità malcelata? Con quel «gemello», come più tardi con la giovanissima Marie de Gournay, prima curatrice dei Saggi, stabilì una comunicazione che lo pose al riparo, come sotto una campana di vetro.
Con dei limiti. Come l'incomprensione per la frenesia creativa e la perfezione che avevano ridotto Torquato Tasso alla follia o il temporeggiare con cui, sottraendosi ai suoi doveri di sindaco, si era salvato dalla peste.
Maestro di vita e filosofo dell’umiltà, apostolo di modernità e laicismo o campione di opportunistica prudenza? E magari «padre della nuova generazione di blogger narcisistici» come sul Telegraph ha scritto Oliver Benson? François Guizot lo definì il gran seduttore della letteratura francese. Ma Michel Leiris lo ha emulato nella sua Règle du jeu.
Oggi la biografia della Bakewell grazie alla sua dialettica pone al lettore qualche dubbio. E' ancora possibile salvaguardare la propria umanità prendendo distanza dalle atrocità, aspettando che il peggio passi e tutto rientri nell’ordine?" (da Paola Decina Lombardi, Ecco Montaigne, il blogger della serenità, "TuttoLibri", "La Stampa", 18/06/'11)

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