martedì 28 giugno 2011

Centoquattro poesie


"E' semplice: se la poesia recita 'L'ultima notte ch'ella visse fu / simile a ogni altra notte / se non per la sua morte', è probabile che un giovane nostro contemporaneo 'più non vi legga avante'. Se invece suona: 'L'ultima notte che visse / era una notte comune / tranne il morire -', proseguirà. In entrambi i casi è di Emily Dickinson che si tratta, e non c'è errore nella prima versione di Silvio Raffo, benemerito traduttore, solo che sono passati gli anni ed è cambiata la lingua. Anche se è sempre stato vero che l'inglese vuole il pronome soggetto dell'azione che il verbo esprime, mentre l'italiano no, non ce n'è bisogno, il soggetto lo si può sottintendere.
E' una particolarità della nostra lingua, su cui riflettendo potremmo forse avvicinare una verità del nostro carattere, ma intanto così si abbrevia una certa lentezza dell'italiano e la seconda traduttrice, Silvia Bre, ne approfitta. Del resto in questa nuova edizione di Centoquattro poesie che esce per Einaudi, la tendenza al risparmio è chiara. Lo dimostra la nota di poche righe, ma essenziali, in cui chi traduce dichiara di non avere un criterio e comunque non le sembra importante la teoria, perché la traduzione è una pratica.
E' un atto di 'nudo artigianato'. Un atto che presuppone conoscenza e competenza linguistica etc. etc., ma soprattutto presuppone la lettura lunga, ostinata, appassionata. Attenzione però, la lettura è un'interpretazione. Per fare un esempio, ma ne potrei fare altri, se Silvia Bre nella poesia numerata 303 di pag. 36 traduce 'Majority' come 'maggiore età' e non come 'maggioranza' o 'moltitudine' o 'i più', è perché interpreta quella parola. Tra gli indizi fluttuanti di significato che aleggiano in 'Majority' c'è anche quello, ma qui l'ambiente semantico ne stabilizza uno, e non è quello di maggiore età, che rimane sullo sfondo. Silvia Bre scrive: 'L'anima seleziona la sua corte - / poi - chiude la porta - / alla sua maggiore età divina - / altri non si presenti' ... Ottimo. Ma il lettore così non visualizza l'atto dell'anima che una volta scelta la sua compagnia serra la porta e si sottrae lei al mondo. Nell'esistenza sua propria Emily fece così, non si presentò ai più, ai molti, alla maggioranza, se non postuma in quelle carte segrete, in quei quaderni che cuciva e che contenevano le sue poesie.
Mi direte, in poesia non si può salvare il suono e il senso e il poeta-traduttore qui gioca più che con il senso, con il suono. Ed è senz'altro così. Ma proprio per questo forse da lettore ignorante e appassionato io sempre più spesso sogno una traduzione interlineare che mi aiuti ad ammirare appieno le acrobazie linguistiche che accadono in un verso ... E di cui Emily Dickinson è artefice sovrana, perché il timbro proprio della poesia dickinsoniana è l'ambiguità. Di lì nasce l'ironia, la sprezzatura metafisica della sua poesia.
Molte donne-poeta (non mi piace la parola poetesse) hanno provato a trasportare l'ellittica performance linguistica di Emily Dickinson all'italiano: per nominarne alcune tra le più recenti, Amelia Rosselli, Bianca Tarozzi, E ora Silvia Bre, la cui versione eccelle per sottrazione. Perché ha tolto molto e non ha aggiunto nulla, come lei stessa dichiara; in ciò dimostrando che sa leggere Emily Dickinson, che è un campione di parresia. Il gioco è a togliere, è in levare. La sua poesia è apofatica, ablativa.
Già nelle traduzioni di Barbara Lanati, non poeta, ma studiosa, questo timbro si imponeva fin dalla prima raccolta intitolata non a caso Silenzi, del 1986. Insieme alla volontà di accompagnare il lettore nella scoperta di una esplosività creativa e di pensiero senza paragoni nella storia della poesia. Anche lei una donna ... come Margherita Guidacci come Cristina Campo ... Tanto che mi chiedo: se Emily piace tanto a noi donne, non sarà perché è un'avventuriera dello spirito, capace di uno sguardo che dall'orizzonte minore, microscopico, di una vita tutta giardinaggio e marmellate, sconfina fino a a flirtare con l'infinito? Non siamo tutte così, e cioè metafisiche, noi donne? [...]" (da Nadia Fusini, Com'è bello scoprire una nuova Dickinson, "La Repubblica", 28/06/'11)

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