venerdì 24 settembre 2010

Teatro civile


"La memoria recuperata attraverso la potenza "sovversiva" della parola è la forza ammaliatrice del Teatro civile, un fenomeno tessuto d'impegno e talento che in Italia si è imposto come una delle forme più vitali del teatro contemporaneo e che ha ormai conquistato una folla fedele di spettatori. Dalle stragi naziste di Sant'Anna di Stazzena e di Marzabotto al disastro doloso della diga del Vajont; dall'eccidio di Piazza Fontana al caso Moro, fino alla strage di Ustica e non solo, tutti eventi della storia del nostro Paese portati in scena da mattatori magnetici come Marco Paolini, Ascanio Celestini, Giulio Cavalli, Giorgio Diritti e molti altri. Teatro civile, (edizioni Ambiente), l'ultimo libro di Daniele Biacchessi, giornalista, scrittore e autore teatrale torna ora nei luoghi della narrazione e delle inchieste, ripercorre i tanti spettacoli che, negli anni, hanno raccontato in Italia le storie vere ignorate, dimenticate o "aggiustate" e ne evoca ed esalta la linfa rigeneratrice. Ed emerge come, attraverso la drammaturgia e l'utilizzo del corpo e della voce, si possano far rivivere fatti ed emozioni risvegliando il desiderio di conoscere e ricordare. Efficacissime le testimonianze vecchie e nuove dei protagonisti che quegli spettacoli hanno portato sulla scena (in palcoscenico, ma anche solo sulla strada o su una semplice pedana). Dimostrano che, mentre dovrebbero essere i referenti istituzionali a farsi carico di salvaguardare la memoria nazionale, sono stati spesso proprio i narratori a portarne il peso e a creare un ponte tra passato e presente. Una sfida riuscita, vinta fuori dai teatri tradizionali e dai meccanismi produttivi e di mercato, con spettacoli agìti per e fra il pubblico e con testi mai definitivi e invece sempre aperti a nuovi contributi.
Teatro civile restituisce la voglia di non dimenticare ciò che è stato e di partecipare a ciò che è. Un libro che mette in mostra la faccia positiva dell'indignazione, quella che affiora quando fatti coperti dall'oblio tornano a smuovere le coscienze.
Che cosa è per lei il Teatro civile? "Molti anni fa dalle mie parti, la zona di Monte Sole, vicino a Marzabotto, ogni sera il nonno si metteva vicino al camino, caricava la pipa, beveva un goccio di grappa. Poi si girava e diceva a noi bambini: "allora ...". E iniziava un racconto: il vento che si infilava nella porta, lo scalpiccio dei soldati nazisti lungo i sentieri di Monte Sole, gli spari, le urla, il silenzio. Ogni sera lo stesso racconto, ma c'era sempre un particolare che lo rendeva diverso. Questo è il teatro civile, raccontare storie per non dimenticare. E, ormai, in Italia, il Teatro civile rappresenta la vera grande novità nell'ambito della drammaturgia nazionale, decretata da consensi di pubblico davvero straordinari. Pensiamo al Vajont di Marco Paolini, visto da almeno tre milioni di persone, o a Radio Clandestina di Ascanio Celestini che ha raccolto un milione di spettatori. Il vero teatro contemporaneo che il pubblico apprezza è proprio il "teatro civile", che ha un significato doppio, perché tutto il teatro in sé è "civile". Ed è politico nel momento in cui metti in scena episodi come quello di Marzabotto o Sant'Anna di Stazzema. Quello che fa la differenza è la tecnica della narrazione, che si discosta dal teatro politico e impegnato degli anni Settanta, che era più di stampo brechtiano. Allora, il teatro doveva far passare un'idea e fare di tutto per convincere il pubblico che è quella giusta. Ora si parte da un altro presupposto: attraverso le storie si dipana la Storia con la S maiuscola, quella del nostro Paese".
Libri, teatro, cinema, ma anche fiction, musica. Possono tutti raccontare la memoria di un Paese? "Questo è un Paese che non ha memoria, perché ricordare significa anche mettersi davanti ad uno specchio e mettersi in discussione. Ed è anche un Paese anormale quello che consegna a noi cantastorie il compito di raccontare la storia collettiva di una nazione, comprese le pagine più buie: gli anni degli eccidi e della strategia della tensione, il senso di impunità, i depistaggi compiuti dagli uomini delle istituzioni, gli scempi e i disastri ambientali, i morti sul lavoro. Lo doveva fare la politica, ma le commissioni stragi e antimafia hanno concluso poco o nulla. Era compito degli storici che hanno invece pensato bene di riscrivere la storia parificando i partigiani ai repubblichini di Salò. Era anche compito della società civile che ha perso il senso dell'indignazione. E allora? E allora libri, dischi, teatro, letture possono servire a smuovere le coscienze rattrappite. Una rivoluzione culturale che metta in primo piano la difesa di quello che Pietro Calamandrei definiva "il patto giurato tra uomini liberi", la Costituzione".
Lei ha ascoltato molti interpreti, visitato i luoghi della narrazione. Dica quello che, per tutti, meglio rappresenta il suo libro-manifesto. "Non c'è un luogo ma ci sono i luoghi. Per me contano la stazione di Bologna, la chiesa di Sant'Anna di Stazzema, Seveso, via Mancinelli a Milano dove vennero uccisi Fausto e Iaio. Per Marco Paolini certamente Vajont, Ustica, i treni, i sentieri del ritorno dalla Russia di Mario Rigoni Stern. Per Ascanio Celestini il museo di via Tasso a Roma, le fabbriche, i manicomi, i call center. Per Giulio Cavalli l'aeroporto di Linate, le periferie di Milano infiltrate dalla 'ndrangheta. Ed è così per tutti. Perché i luoghi contano e perché nulla vada mai dimenticato"." (da Silvana Mazzocchi, Luoghi e protagonisti del "Teatro civile". Quando le storie diventano Storia, "La Repubblica", 23/09/'10)

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