lunedì 27 settembre 2010

Libri. Storie di passioni manie e infamie


"Nel 1902, dieci anni dopo la morte in Africa di Arthur Rimbaud, un avvocato di Bruxelles che stava frugando nel magazzino dell’Alliance Typographique alla ricerca di certi vecchi annuari giudiziari trovò invece, in un pacco coperto di polvere, l’intera tiratura di Una stagione all’inferno nella mitica prima edizione del 1873. Si riteneva fino a quel momento che del libro esistessero sei esemplari: «contesissimi», scrive Giuseppe Marcenaro in Libri. Storie di passioni, manie e infamie (Bruno Mondadori). Erano quelli che il giovane e sconosciuto poeta aveva preso come anticipo, rinviando al giorno successivo il saldo con la tipografia - la Saison era pubblicata a sue spese - e il conseguente ritiro delle altre 494 copie.
La scoperta dimostrava che non le aveva distrutte, come recitava la leggenda sorta intorno alla sua breve, intensa vita da poeta maledetto. Le aveva semplicemente ignorate. Possiamo immaginare l’emozione dell’avvocato Léon Edmond Charles Losseau, che doveva essere un agguerrito bibliofilo. Ne acquistò 425 (perché alcune erano rovinate) e in tutta segretezza se le portò a casa. E’ probabile che ne abbia venduta qualcuna, molto riservatamente: e tuttavia per dieci anni mantenne il segreto, riservandosi uno straordinario colpo di teatro. Il 24 dicembre del 1912, infatti, rese pubblico il tesoro, regalò una copia a tutti i membri della Société
des Bibliophiles Belges e a qualche scrittore, si godette il trionfo supremo per un feticista del libro: da una parte la gloria, dall’altra la beffa, il piacere di veder crollare il mercato e di umiliare fior di collezionisti.
L’aneddoto è significativo, quasi esemplare, fra i tanti che Marcenaro intreccia nel suo libro, sapiente e arguto. Riassume in sé una dinamica bibliofila molto interessante, quella che nel primo Ottocento aveva portato per esempio Charles Nodier a immaginarela vicenda del libraio assassino di Barcellona, ritenuta vera per parecchi anni: la storia di chi è così travolto dal carattere di unicità di un libro da poter uccidere e morire, per la bramosia di farlo suo o per le delusione di scoprire che ne esiste un’altra copia. I bibliofili, si sa, sono creature bizzarre, amano scherzare su ciò che prendono terribilmente sul serio. Sono appassionati e autoironici, padroni di un piacere inebriante e servi della (loro) biblioteca. Anche Marcenaro, che pure respinge sia la definizione di bibliofilo sia quella di collezionista, sa che la sua - celebre - biblioteca è un essere probabilmente vivente.
Se ne definisce il custode, raccontandoci alcuni percorsi possibili all’interno di essa. «In gran parte - ci spiega - l’ho ereditata. Da un antenato ottocentesco
che passava per tipo balzano e acquistava libri antichi e incunaboli; da uno zio di mia madre che nel primo Novecento comprava semplicemente quel che veniva stampato, e da Lucia Rodocanachi», grande amica e soccorritrice di poeti e scrittori, spesso traduttrice ghost writer per rimediare alla loro carenza di tempo e di lingue straniere. Com’è ovvio l’ha arricchita personalmente, e non poco, creando così una delle più belle biblioteche private che ci siano in Italia. Dove i libri raccontano storie, non solo quelle racchiuse nella pagine, ma quelle che emergono dal rapporto tra di essi, dalla dinamica della biblioteca e dal lavoro del Custode, che li sposta e li riordina instancabile.
La Stagione all’inferno è solo uno dei ventimila o forse più. C’è anche L’osteria del cattivo tempo di Emilio Cecchi sfregiata da Camillo Sbarbaro, che detestava il critico; ci sono le Operette morali di Leopardi nella prima edizione del 1827 accanto alla seconda dei Dialoghetti scritti con grande e immediato successo da quel reazionario del conte Monaldo, il severo genitore del poeta, e da cui il povero Giacomo dovette a lungo difendersi perché gliene veniva attribuita la paternità; ci sono gli amanti Gustave Flaubert e Louise Colet con La Tentation de Saint Antoine e le Enfances célèbres.
C’è il Porto sepolto di Ungaretti nella seconda edizione, «perché ne ho conosciuto lo stampatore». E la prima, quella di Udine, no? «Ottanta copie, stampate in Friuli. Lo zio di mia madre non poteva incrociarle in libreria». Lei però non ha rimediato.
Disinteresse per il «feticcio»? «Non esageriamo. Non soffro per il fatto di non averlo. Se mi capitasse a un prezzo ragionevole non me la farei sfuggire».
Anche lei, dunque, è preda del vizio. «Sì, però ribadisco che mi piace soprattutto la storia dei libri. La mia biblioteca è la proiezione dell’universo in una casa, dove si aggirano i fantasmi. Il piacere della collezione è collezionare storie: quello di avere un libro di Caproni, per esempio Il seme del piangere, dedicato a Sbarbaro, che lo passa a un certo punto a Lucia Rodocanachi, che infine lo regala a me. Non ho scritto per esibire la mia biblioteca, ma per farla parlare», insiste Marcenaro. Sa benissimo, del resto, che le esibizioni sono sempre pericolose. E un episodio, in Libri, lo conferma. Anzi, contiene in sé un ammonimento perenne: riguarda Giovanni Spadolini, notoriamente fierissimo della sua biblioteca raccolta a Pian dei Giullari. Una volta, a Roma, magnificandola in Senato, si vantò di possedere 60 mila volumi. Carlo Bo, che lo stava ascoltando, lasciò cadere di averne forse 100 mila. Fu un colpo durissimo." (da Mario Baudino, Io, all'inferno con Rimbaud, "TuttoLibri", "La Stampa", 24/09/'10)

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