giovedì 10 aprile 2008

Scrittori italiani di viaggio


"Nell'era del 'turismo compiuto', gli italiani ormai occupano ogni angolo del mondo: li trovi a Manaus come a Angkor, a Bombay come nella Death Valley. In termini di grandi numeri, si tratta di un fenomeno relativamente recente, ma per certo non esiste ormai un solo paese in cui non ci si imbatta nel canonico gruppo di turisti nostrani, che nove volte su dieci dibatte sul valore della moneta locale, impelagandosi in complessi calcoli sul cambio con l'euro, per poter poi valutare quali siano gli acquisti più o meno convenienti. La cosa singolare è che anche i viaggiatori più colti, e (ben di rado) solitari, soffendo della congenita esterofilia italiana, se si portano appresso un libro di viaggio che li possa aiutare nelle loro perlustrazioni, optano quasi sempre per l'opera di uno straniero. basti, per tutti, l'esempio del successo clamoroso ottenuto negli ultimi vent'anni da uno scrittore inglese (fors'anche un po' sopravvalutato), quale Bruce Chatwin. Eppure, restando al solo Novecento, potremmo mettere in fila una sequenza di autori di casa nostra, tutti di prim'ordine. Bastino, a mo' di esempio, Fosco Maraini, Alberto Moravia, Goffredo Parise, Cesare Brandi, Guido Piovene e altri. Né, questa fioritura, è cosa di oggi, come risulta leggendo l'interessantissimo Meridiano Scrittori italiani di viaggio, che nel primo volume raccoglie le opere di autori compresi fra il 1700 e il 1861. Mentre il secondo coprirà il periodo che va dall'Unità al Duemila. Tra i tanti meriti della dottissima introduzione del curatore, Luca Clerici, c'è per l'appunto la smentita di un inveterato cliché, secondo il quale la scrittura di viaggio degli italiani, storicamente, è poca cosa. Certo, l'odeporica (ovvero la scrittura di viaggio) non è unicamente opera di letterati. A maggior ragione in un periodo in cui i resoconti venivano stilati in egual misura da naturalisti, spie, militari, diplomatici, medici, archeologi, avventurieri, giornalisti, cantanti, pittori, politici. Ma tutto ciò non fa che arricchire il quadro d'insieme offerto dal volume: vuoi in ordine alla conoscenza di spezzoni significativi della società italiana fra l'inizio del Settecento e la metà dell'Ottocento, vuoi in merito alla stessa letteratura di viaggio, che è per sua stessa natura, una forma di scrittura 'totale'. Dal momento che mette in campo gli elementi più diversi: dal ricorso alla fantasia del resoconto veritiero dei fatti, dall'osservazione minuziosa della natura ad esercizi 'antropologici' sui costumi dei popoli visitati. Certo, il discorso può anche essere rovesciato. E come ricorda sempre Clerici, molte sono le differenze tra il traveller e lo scrittore tradizionale: 'in un contesto di viaggiatori illuminati la libera circolazione delle idee favorisce una sorta di socializzazione delle conoscenze e delle scoperte, l'elaborazione cioè di un sapere collettivo e condiviso che comporta una certa diminuzione del quoziente di autorialità'. Naturalmente le testimonianze di viaggio (incluse quelle nostrane), non cominciano con il Settecento, ma è a partire dal secolo dei Lumi che questo tipo di scrittura dilaga. Anche perché, sottolinea il curatore, proprio allora il piacere estetico assume progressivamente maggiore rilevanza, e non riguarda unicamente il nobiluomo: se soltanto aprirà gli occhi, anche il cittadino potrà godere dello spettacolo del mondo. La pratica del viaggio si diffonde dunque ben prima di quanto abitualmente si creda; tanto che già 'nell'Ottocento diventa popolare (cioè borghese, nei termini del Berchet)'. [...]" (da Franco Marcoaldi, Scrittori con la valigia, "La Repubblica", 09/04/'08)

Nessun commento: