domenica 6 aprile 2008

Pasolini. Per il cinema

"Una gioventù insofferente e incattivita che alla superficialità risponde con la superficialità, alla crudeltà risponde con la crudeltà. Sono proprio i teddy boys i figli reali dei nostri avvocati, dei nostri professori, dei nostri luminari, [...] il prodotto di una società ad alto livello economico, sociale e civile, e di tipo industriale: perché appartengono ideologicamnete alla classe borghese e la loro è una protesta di tipo moralistico contro la stessa società che li ha prodotti e non gli dà ciò che desiderano"

Pasolini. Per il cinema (Mondadori)
"Alcune di queste fotografie furono pubblicate su un giornale scandalistico nel 1960. Dalle didascalie risultava che a mettere sulla cattiva strada uno di quei teddy boys, finito in prigione per 'precedenti reati', fu Pier Paolo Pasolini, il famigerato scrittore delle borgate romane. In verità Pasolini non aveva passato molto tempo in compagnia di quei ragazzi: l'incontro con loro era stato organizzato per una documentazione realistica dei personaggi di un film sulla malavita milanese. L'ultimo titolo dato dal poeta alla sua sceneggiatura è La nebbiosa. In una fotografia si riconosce il volto della giornalista Adele Cambria, molto amica di Pasolini, che in seguito fece anche un piccolo ruolo in Accattone. L'odio per l'omosessuale comunista, che stava riscuotendo uno scandaloso e irresistibile successo, era cieco: gran parte della stampa (non solo di quel tempo) si accanì contro di lui, con violenta aggressività, non certamente inferiore a quella dei giovani sbandati della Milano notturna qui ritratti. I teddy boys, da noi, a bordo delle macchine rubate cantavano il rock and roll Teddy Girl di Adriano Celentano. Erano figure di balordi tanto sbruffoni quanto fragili. Con il benessere, in Italia, i morti di fame si travestivano da 'gioventù bruciata'. I soldi del contrabbando di sigarette e di qualche furto venivano nascosti dentro i tubi Innocenti arrugginiti e abbandonati nei cortili, oppure in una scatola di scarpe, insieme alla rivoltella dei padri scampati alla guerra. Il neorealismo, arrivato il soldo, aveva cambiato il panorama: non più il popolo povero, innocente e allegro, ma ragazzi che viaggiano sparati verso la frustrazione e la nevrosi. La povertà è già diventata una vergogna. Tutt'intorno gli immensi cantieri della ricostruzione. Si stava compiendo il grande scempio della nostra bellezza. Pasolini aveva già descritto, quattro anni prima di quella foto del '59, in Ragazzi di vita, la fine del sogno di un'Italia giusta e umana, che la Resistenza aveva promesso. La cultura piccolo borghese imperava sempre di più in un contesto politico che si guardava bene dal rimuovere la centralità del potere clerico-fascista ereditata dal passato. La televisione era il principale strumento di alfabetizzazione e proponeva un modello di cittadino italiano chiuso nel proprio egoismo e nella propria casa, senza alcun interesse per la comunità e per la solidarietà. Nell'arco di tempo in cui si svolge la storia (dalla fine della guerra a Scelba) Riccetto, il protagonista, fa in tempo a passare dalla povertà innocente alla povertà colpevole, dall'eroismo alla viltà. Il racconto comincia infatti con i ragazzini che si tuffano in acqua per salvare una rondine caduta nel Tevere, e finisce con gli stessi ragazzi, ormai giovanotti, che osservano impassibili una persona che annega. Per Pasolini, nei cosiddetti anni della ricostruzione, le scavatrici inaugurano un'epoca che non conserva alcun legame con il passato. Da quel periodo in poi il poeta descrive, con la puntualità di un cronista, attraverso film, romanzi, discettazioni giornalistiche, saggi, tragedie ed altro, il rapido processo di 'omologazione' della nostra società, dal tempo del Riccetto, fino alla metà degli anni Settanta. Quel mite e un po' sperduto ragazzo in grigio e cravatta, poeta borghese che si mischia a personaggi testoriani, emarginati e barocchi, esplora una popolazione dialettale, letterariamente indegna, alla quale, negli anni Cinquanta e inizio Sessanta è stato offerto un ruolo di protagonista, sia in letteratura che in cinema. Nel periodo dell'uscita del romanzo Una vita violenta (l'autore fu denunciato per oscenità dall'Azione Cattolica di Milano), Bolognini prepara Una giornata balorda, dopo il successo di La notte brava (1959); Testori subisce un processo per scandalo con L'Arialda; e si proietta sugli schermi il capolavoro di Visconti Rocco e i suoi fratelli. Tutte opere che puntano lo sguardo su giovani della buia periferia metropolitana, qua e là illuminata dai neon e da sorrisi di ragazzi abbruttiti e spaventati da una vita difficile. Il cinema accende i fari sulle popolazioni emarginate, immobili e fuori della storia, per documentare la dinamica sociale più visibile e drammatica del tempo: il processo di acculturazione alla realtà piccolo borghese degli strati più bassi della società italiana. Storie di ambizioni sbagliate, di horror vacui, di esistenze sacrificate sull'altare del benessere. E' una stagione che dura un decennio circa, dalla fine degli anni Cinquanta. Ma sul grande schermo trionfa la commedia all'italiana, la descrizione allegra e insieme spietata della piccola borghesia ambiziosa e padrona del mondo: antieroi che non disdegnano di accarezzare le natiche delle 'serve'. Qui si vede meno il tempo che passa, la storia che travolge gli uomini: il piccolo borghese ha una tipicità universale e stabilizzata nel senso comune, un'anima eterna come una categoria dello spirito. E' il gigantesco personaggio di gran parte del romanzo inglese, francese, e russo dell'Ottocento. E' lui che ha di nuovo vinto, dopo i fasti marmorei del Ventennio. Adesso sogna di diventare commendatore, e si fa chiamare ingegnere anche se è solo un geometra. Pasolini, così fuori luogo in quella Milano molto più dura di Roma, livida, non ha una faccia sorridente. Sembra prevedere in quei ragazzi un destino triste, una vita sempre povera ma 'consumata' nella solitudine, e nella nevrosi del morto di fame che sa di essere un morto di fame." (da Vincenzo Cerami, E in quegli anni rampanti la povertà divenne colpa, "La Repubblica", 06/04/'08)

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