martedì 29 aprile 2008

Donne in rivolta: tra arte e memoria

"Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo"

"Non v'è dubbio che nella seconda metà dell'Ottocento esista una quantità consistente di romanzi con strutture tematiche e compositive ricorrenti, che vanno a comporre un unico, grande romanzo, che potremmo definire 'femminista', se non altro perché ne sono protagoniste indiscusse delle donne: Emma Bovary, nell'omonimo romanzo del 1857; Anna Karenina, dell'omonimo romanzo del 1877; Nora, di Casa di bambola del 1879; Giovanna, di Una vita del 1883; Hedda Gabler, primadonna dell'omonimo dramma del 1890; Effi Briest, del 1895; Marta nell'Esclusa del 1901. Donne prese tutte nella posa dell'adultera. E' altrettanto indubbio che nel corso dell'azione noi lettori assistiamo all'eliminazione fisica delle protagoniste, e dove volessimo, a mo' di inchiesta, accertare le responsabilità della morte, e comprendere se si tratti, di volta in volta, nei casi specifici, di suicidio, o di omicidio, non potremmo che osservare che sono insieme il marito Karenin e l'amante Wronskji a uccidere Anna; sono il marito barone von Innstetten e il maggiore Crampas a uccidere Effi; il noiosissimo marito Tesmann e il demonico Loevborg e il volgare Brack a uccidere Hedda. Per non parlare delle responsabilità di Charles Bovary, di Torvaldo Helmer, di Giuliano di Lamare e di Leone e di Rodolfo. Si potrebbe addirittura parlare di 'morti bianche', perché a me pare che questi personaggi di donna - sia che si lascino assassinare, o si abbandonino alla morte per asfissia, per assideramento, o anestesia - sono sempre e comunque lì a testimoniare il costo incivile di una enorme ingiustizia sociale. L'adulterio realizzato da Anna e il suo suicidio; il matrimonio di Effi e il finale aborto di sé, che la trasporta a un'esistenza larvale; il disgusto di Hedda e la morte che si dà, quasi fosse una vendetta che si prende contro la vita; le vicende non dissimili delle altre, tutte insieme compongono oggettivamente un patrimonio romanzesco che vede l'eroe in conflitto aperto con la propria epoca storica, le sue leggi e forme. Ora, non v'è dubbio che a definire questo nuovo personaggio concorrano cambiamenti avvertibili nella cultura e nella società. Ma è anche vero che uno scrittore non sempre segue l'azione, a volte è la letteratura a guidarne il corso, a prefigurare il cambiamento, o perlomeno, a gettarne le basi. Lo scrittore, è stato scritto, 'dà voce a tutto ciò che resta soffocato nel mondo com'è, a qualcosa nel cui nome il mondo volta per volta andrebbe cambiato, alle ragioni che non trovano riconoscimento da parte degli ordini conosciuti o grazia di fronte alle opinioni pubbliche'. Scriveva così, anni fa, Francesco Orlando a proposito di un'antenata, la Fedra di Racine. Anche lei una ribelle. Del resto, è sempre stato così: perché la macchina drammatica, o romanzesca scatti, ci deve essere una crisi. Perché si inizi a raccontare si deve aprire una breccia, attraverso la quale applicare lo sguardo a ciò che soltanto superficialmente finora avevamo guardato, o addirittura tralasciato di osservare. E per fare ciò ci vuole un personaggio che sia capace di sopportare la fatica del nuovo sguardo. Intendo dire: lo scrittore dovrà inventare un personaggio cui affidare la rottura. Tale rivolta. Nei romanzi di cui parlo, è il personaggio-donna a sostenere il peso di tale azione. E', se volete, ancora una volta il discorso aristotelico sul personaggio. Se il romanzo, come la tragedia, ha al suo fondo un conflitto, il suo eroe sarà il rappresentante di un'istanza oppressa, colui, colei che si rifiuta di obbedire alle leggi della città, perché sa che ci sono altre leggi, altre leggi devono essere trovate, inventate. In tale posa troviamo Anna, Emma, Hedda. Lo scrittore, per riprendere un vecchio stilema marxiano, stilema assai demodé di questi tempi - ma proprio perciò con ancor maggior soddisfazione me ne servo - lo scrittore, dicevo, sa che le istituzioni tendono a presentarsi come assolute, necessarie, naturali. Così anche per il matrimonio. Che cosa c'è di più naturale del matrimonio? Che cosa c'è di più naturale di una famiglia composta da un uomo e una donna, e possibilmente il frutto del loro amore? (Vi prego incidentalmente di notare che tale grazioso quadretto vale tuttora, guai a disturbare il presepe - famiglia). L'adultera - 'ce mystère de la femme en dehors du mariage', come diceva Flaubert - è il personaggio-donna che non si lascia più definire dal matrimonio. Non importa che commetta o meno sensualmente, fisicamente l'adulterio. Già nella definizione flaubertiana è evidente come allo scrittore non interessa l'interno protetto, lo spazio già conosciuto e perimetrato della passione coniugale, ma piuttosto il mistero, il segreto - indicibile, irrappresentabile come tutti i misteri - di chi si avventura all'esterno." (da Nadia Fusini, La passerella delle adultere, "La Repubblica", 29/04/'08)

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