giovedì 8 marzo 2012

Cosa resta dopo cent'anni della festa della donna


"Che odio, la mimosa: non profuma, avvizzisce in tempi record e dissemina pallini e pelucchi gialli dappertutto. Tanto è emozionante vederla fiorire sul suo albero come una macchia di luce nel paesaggio, tanto è triste trovarla intrappolata nel cellophane sui banchetti o nei vasi vicino alla cassa dei supermercati. Ridotta a un "brand", venduta per un giorno a prezzi irragionevoli, la mimosa rappresenta bene tutto ciò che nell´8 marzo è da buttare, dagli orpelli del marketing a quanto di rituale e di stantio, come ogni celebrazione, si porta dietro. E pensare che nel 1946 le rappresentanti romane dell´Unione Donne Italiane la scelsero quasi per caso, e soprattutto per risparmiare. Le rose, invocate insieme al pane nei cortei delle femministe americane a partire dal 1908, erano troppo costose; in cerca di un simbolo diverso dallo storico garofano rosso per caratterizzare in modo immediato la festa delle donne, si risolsero per questa fioritura di stagione, assai comune tra Roma e i Castelli: accessibile, allegra e a costo zero. Nonostante la vestissero di giallo, colore politicamente disimpegnato, l´8 marzo era una festa decisamente "rossa", legata a doppio filo al movimento operaio. Dopo una prima edizione solo statunitense, la Festa della donna nacque ufficialmente nel 1910 a Copenhagen, con una mozione presentata da Clara Zetkin alla II Conferenza internazionale socialista: per promuovere la causa del voto alle donne e «l´intera questione femminile espressa dalla concezione socialista».
Meno chiaro da dove esca la data dell´8 marzo. Nel saggio 8 marzo. Una storia lunga un secolo (Iacobelli), le studiose Tilde Capomazza e Marisa Ombra precisano che fu fissata solo nel 1921, alla seconda Conferenza delle donne comuniste di Mosca, in memoria della grande manifestazione delle operaie contro lo zarismo che si era svolta in quella data nel 1917. A partire dagli anni Cinquanta, tuttavia, si diffondono vulgate che "cancellano" la genesi moscovita, legando l´8 marzo al vivace movimento statunitense d´inizio secolo per i diritti delle lavoratrici, e in particolare – nella tradizione del "martirologio" (in palese analogia con il Primo Maggio, anniversario dei "martiri di Chicago") – al tragico incendio del marzo 1911 alla Triangle Shirt Waist Company di New York, in cui morirono orribilmente 146 operai, di cui ben 129 erano donne giovanissime: non poterono mettersi in salvo perché i padroni le tenevano chiuse a chiave nei capannoni per evitare che si allontanassero. L´incendio in realtà ebbe luogo a fine marzo, ma nella pubblicistica divenne il mito fondativo della giornata della donna: forse anche, suggeriscono Ombra e Capomazza, per attenuare i caratteri sovietici e comunisti della ricorrenza.
Un dato è certo: l´8 marzo, comunque l´abbiano scelto, nasce come festa delle donne lavoratrici. Nei decenni ha perso gran parte di questo carattere "sindacale". Eppure, il lavoro femminile continua a essere un campo di abusi e sperequazioni. Se la mimosa si può tranquillamente cestinare, vale invece la pena di rinverdire questo spirito delle origini. Tanto più oggi: nel pieno delle difficili trattative sulla riforma del lavoro, nel paese in cui, per la nostra vergogna, a un secolo esatto dall´incendio della fabbrica di camicie newyorkese, cinque donne sono morte nel crollo di un laboratorio di confezioni a Barletta, dove lavoravano in nero per 4 euro l´ora, ben venga un 8 marzo vintage, la cui agenda rimetta al centro la tutela delle lavoratrici. «Le nostre mimose sono progetti di legge», affermava la senatrice socialista Elena Marinucci nel 1980. A fine febbraio ha cominciato a circolare l´appello di 14 donne che chiedevano il ripristino della legge contro la piaga delle lettere di dimissioni in bianco di cui si abusa per licenziare le donne in caso di gravidanza, cancellata dall´ultimo governo Berlusconi: perché, per cominciare, come prima "mimosa di legge" non ci restituite la legge 188/2007?
A partire dagli anni Settanta, l´8 marzo si trasforma profondamente, ingloba le istanze del femminismo e smette di essere una festa solo di sinistra. Cresce, si allarga e, secondo alcune, si annacqua: arrivano le prime denunce dalle femministe più agguerrite che ne invocano l´abolizione. Parallelamente, nel 1975 la ricorrenza dell´8 marzo ottiene dalle Nazioni Unite la consacrazione ecumenica. Proprio un richiamo dell´Onu ci indica l´altro grande tema da porre in agenda per l´8 marzo: la violenza. Dopo una missione conoscitiva in Italia lo scorso gennaio, la relatrice speciale dell´Onu per la violenza contro le donne, Rashida Manjoo, ha espresso allarme per la pervasività della violenza domestica, quasi mai denunciata e spesso nemmeno percepita come reato, e la crescita dei femminicidi per mano del partner o di un ex dal partner o da un ex: dalle 101 donne uccise nel 2006 si sale alle 127 del 2010. La nostra settimana della Festa della donna è cominciata con due episodi atroci: a Brescia un uomo ha ucciso la ex compagna, la figlia e i rispettivi partner; un altro, nel veronese, ha strangolato la moglie perché sospettava lo tradisse. Il tema della violenza sulle donne si accende come un bengala in occasione di delitti atroci come questi e poi sprofonda nuovamente nel buio. L´interesse pubblico vive meno di un rametto di mimosa. Se la festa dell´8 marzo garantisce un giorno in più di attenzione a questa tragedia che si consuma nel silenzio, basta già questo a giustificare la sua sopravvivenza." (da Benedetta Tobagi, Cosa resta dopo cent'anni della festa della donna, "La Repubblica", 08/03/'12)

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