lunedì 5 settembre 2011

Piccoli suicidi


"Probabilmente a nessuno sarebbe venuta voglia di ripescare un curioso manuale pubblicato dall'autore a proprie spese nel 1926, se nel frattempo, proprio quell' autore, con uno pseudonimo, non fosse diventato una celebrità a livello mondiale. L' inventore del manuale intitolato 21 ricette pratiche di morte violenta, una vera e propria istigazione al suicidio condotta con i tratti tipici dello humour nero, si chiamava Jean Bruller e faceva il disegnatore. Aveva quasi subito imparato ad accompagnare i suoi disegni con testi brevi come in questo caso. Accadde però che nel '42 Jean Bruller firmasse, con lo pseudonimo di Vercors, un racconto intitolato Il silenzio del mare. Lì per lì non trovò l'editore e, come ai suoi esordi, fece tutto da solo. Fondò Les Éditions de Minuit che, clandestinamente, fecero uscire il racconto, un libretto di novantasei pagine. La trama è celebre, ma la ricordo per chi non avesse avuto l'occasione di leggere quella storia. I tedeschi avevano invaso Parigi fin dal 1940. Vercors racconta la Resistenza di due francesi costrettia ospitare in casa l'ufficiale tedesco Werner von Ebreman, un compositore per altro persona molto gentile e amante della cultura. Bene: zio e nipote (una ragazza) oppongono all'ospite sgradito un assoluto silenzio. In altri termini, non gli parlano mai, mentre lui non fa che parlare della Francia, degli scrittori francesi e via seguitando. Lo stesso Vercors curò una riduzione teatrale dove nell' ultima scena si vedono zio e nipote che fanno colazione: l'ufficiale tedesco è andato via, ma loro non si scambiano neppure una parola. Bene, questo racconto tradotto in molte lingue, fece il giro del mondo e la fama di Vercors oscurò quella di Jean Bruller. Nella prima edizione della garzantina letteraria, che è del '72, non si fa alcun cenno a Jean Bruller, ma si dice che Vercors esordì con il racconto Il silenzio del mare, anch'esso un racconto paradossale (mesi di silenzio opposti a un conversatore affabile), così come era stato un suo racconto illustrato, Il matrimonio del signor Lakonik uscito nel '31 e mai tradotto in italiano (lo farà tra breve la casa editrice Portaparole, la stessa che ha proposto le ricette suicidarie). Lakonik lavora in un Ufficio Reclami e il suo compito è quello di rispondere «Perfettamente» a ogni rimostranza. A forza di non ascoltare ciò che gli dicono, Lakonik è diventato sordo e si mette in testa di sposare un'altra impiegata, che lavorando all'Ufficio Informazioni, era ovviamente muta. Ma è tempo di aprire il prezioso libretto con le ventuno ricette per morire presto e bene. Esso nacque perché Jean, che allora era poco più che ventenne, essendo del 1902, si trovò a corteggiare senza successo una ragazza, Yvonne Paraf, e per esprimerle il suo stato d'animo disegnò appunto un uomo che si suicida. La ragazza (che sarebbe in seguito diventata l'anima de Les Éditions de Minuit) non si intenerì, ma rispose con un altro disegno, che rappresentava un altro suicidio. Nacque così in Jean l'idea di perfezionare la cosa, arrivando alla compilazione molto semiseria del manualetto. Che, è opportuno dirlo, ebbe una seconda edizione nel '77 in Francia presso l' editore Tchou: un'edizione firmata Vercors con una serie di integrazioni scritte cinquant'anni dopo. Ed è questo il libro, a cura di Flavia Conti, che propone ora Portaparole, con le illustrazioni dell'autore. Si comincia con il suicidio per esplosione delle cervella. Viene considerato molto adatto a personaggi da romanzo, come il giovane Werther, «il cui suicidio, di uno stile veramente notevole, potrà essere di esempio a ogni suicida di buon gusto». Va detto, aggiunge l'autore, che di rado è messo in atto con eleganza. Cinquant'anni dopo però Vercors si rammarica per essere stato troppo severo. Nel frattempo molti grandi scrittori come Majakovskij o Hemingway, lo hanno messo in pratica, confermandone la nobiltà. Dunque siamo di fronte a una sorta di trattatello sul suicidio come opera d'arte, non privo di risvolti sfacciatamente culturali. È noto che chi sceglie il «suicidio per immersione prolungata totale» ama anche indirizzarsi a fiumi dal passato illustre, come l'Arno o il Tevere, evitando corsi d'acqua di dubbia frequentazione come la Senna o la Loira. Ed ecco il codicillo alla seconda edizione: «Si può considerare un progresso il fatto che, a causa del forte inquinamento di mari e fiumi, la morte è assicurata anche dall'intossicazione?» Nell'elenco figurano suicidi obsoleti come quello per asfissia carbonica, ormai sostituito dal suicidio a mezzo gas. Qui l' umorista rischia il cattivo gusto quando allude alle camere a gas del Terzo Reich, ma si sa che l'umorismo è un genere pericoloso. Dimenticavo di dire che Jean Bruller divide i suicidi in attivi e passivi. Essi assomigliano agli avventurieri che possono vivere l'avventura in prima persona o parteciparvi con la fantasia restando a casa propria. Così l'aspirante suicida se è timido, sensibile e buono, conviene che sia attivo e scelga presto il metodo che più gli si addice. Se invece è un uomo, seguita Bruller, dotato di energico egoismo, egli è nato per il suicidio passivo e vivrà dunque a lungo. Il sesto capitoletto è dedicato a un classico: il suicidio per impiccagione. Nel Medio Evo era un ottimo metodo di suicidio passivo e veniva celebrato in pompa magna. Oggi si preferisce l'intimità della propria casa. Tra i classici viene citato anche il suicidio per recisione delle vene, con inevitabile citazione di Petronio, e quello per impalamento: «Questo genere di morte si addice alle persone molto pigree ai filosofi. Il fatto che sia poco usato», conclude Bruller, «ci dice che al mondo non ci sono né veri pigri né veri filosofi. Ed è un pensiero consolante». Il capitoletto numero undici prende in considerazione il suicidio per ingestione da parte di animali. Una volta bastava farsi cristiani e si finiva in pasto ai leoni. Nell'edizione del '77, Vercors ricorda che il presidente ugandese Idi Amin Dada ha rimesso in auge l'uso del coccodrillo come strumento divoratore. Si possono organizzare charter per suicidi di gruppo. Come dice lo slogan di una agenzia di pompe funebri americane «Venite e noi faremo il resto». Jean Bruller, naturalmente, si guardò bene dal mettere in pratica qualcuna delle sue ventuno ricette, anche se scrisse nell'introduzione di essere scampato a un triplice tentativo di suicidio messo in atto per compiacere l'editore che cercava pubblicità. Ma l'editore era lui stesso e dunque il gioco è scopertissimo. D'altra parte corteggiare la morte in forma così smaccata è un modo per rendere la vita molto più accettabile. Bruller-Vercors morì nel 1991, quasi novantenne. Per un allegro aspirante al suicidio non è male: del resto ne aveva ipotizzato uno, l'ultimo del suo libretto, per eccesso di longevità. Enrique Vila-Matas ha dedicato un libro di racconti al tema del suicidio (Suicidi esemplari) ma andando all'indietro non mancano i cultori della necrofilia più o meno esilarante. Chi ha visto al cinema Harold e Maude non dimenticherà mai i tentativi di suicidio, tutti catastroficamente falliti, messi in atto dal giovane protagonista prima di incontrare la vecchia scultrice Maude con la quale divide la passione per i funerali. Ma se proprio bisogna cercare una conclusione, credo sia il caso di chiederla alla cinica e saggia Dorothy Parker, che così sintetizza, da intenditrice, il proprio pensiero sul suicidio: «I rasoi fanno male / i fiumi sono umidi / l' acido lascia tracce, / e le pillole danno i crampi. / Le pistole sono illegali,/ i cappi cedono, / il gas ha una puzza orrenda, / tanto vale vivere»." (da Paolo Mauri, Piccoli suicidi, "La Repubblica", 04/09/'11)

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